mercoledì 8 dicembre 2010
Il Rapporto 2010 di Legambiente e Protezione Civile mette a nudo la fragilità endemica causata da un’urbanizzazione spregiudicata. Tre milioni di italiani vivono in zone pericolose.
COMMENTA E CONDIVIDI
Il concetto è tanto semplice quanto basilare: «Costruire nelle aree a rischio è da criminali, non da irresponsabili», come sintetizza il nuovo capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli. Che va avanti: «E sebbene tanto è stato fatto» dal terremoto dell’Irpinia di 30 anni fa, «sulla cultura della protezione civile nel nostro Paese c’è ancora una strada molto lunga da fare», anche sull’informazione all’opinione pubblica. Così Gabrielli ha aperto il suo intervento presentando ieri il rapporto "Ecosistema Rischio 2010" di Legambiente e Protezione Civile.Tre milioni e mezzo a rischio. Quotidianamente 3,5 milioni di italiani vivono e lavorano in zone ad alto rischio di frane e alluvioni. E in due comuni su dieci si è fatto ancora peggio, realizzando in quelle stesse zone ospedali e scuole. Il quadro dell’Italia resta insomma preoccupante e conferma come l’utilizzo spregiudicato del suolo, l’urbanizzazione sempre più pressante e l’abusivismo dilagante siano fattori determinanti delle catastrofi.Case e scuole nelle aree pericolose. Basta un dato su tutti: nell’82% dei comuni oggetto dell’indagine (oltre 2mila amministrazioni, cioè 37% dei 6.633 comuni inseriti nelle aree più a rischio dal ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle province italiane) sono state costruite abitazioni in aree soggette a frane e alluvioni. Nel 31% dei comuni sono presenti in quelle aree addirittura interi quartieri. E nel 54% fabbricati industriali.Allarme fiumi piccoli e torrenti. Si è troppo cementificato lungo i corsi d’acqua, così come a ridosso dei versanti franosi. Creando una fragilità ormai «endemica che non risparmia nessuna regione italiana», si legge nel rapporto. Risultato? «I danni provocati dalle recenti alluvioni che hanno colpito Veneto, Calabria e Campania – ha spiegato il direttore generale di Legambiente, Rossella Muroni – testimoniano quanto il nostro Paese sia sempre più esposto al rischio idrogeologico». Dunque è necessaria «una concreta politica di prevenzione per non assistere mai più a drammatiche vicende come, per esempio, quella di Atrani in Costiera Amalfitana», muovendosi prima di tutto «proprio sul reticolo idrografico minore, su quei fiumi, torrenti e fossi che sembrano rappresentare oggi la vera emergenza dell’Italia».Calabria in testa, Veneto in coda. Tra le Regioni col maggior numero di comuni a rischio idrogeologico ai primi posti ci sono la Calabria con 409 comuni a rischio pari al 100%, la provincia autonoma di Trento (22 comuni, 100%) e il Molise (136 comuni, 100%). Mentre la situazione mette i brividi anche in regioni come il Piemonte che conta 1.049 comuni a rischio pari all’87%, la Campania (504 comuni pari al 92%), le Marche (239 comuni, 99%), la Liguria (232 comuni , 99%) ed il Lazio (372 comuni, 98%). Le Regioni dove al contrario si rileva invece un "minore" rischio sono la Lombardia con 929 comuni a rischio pari al 60%, la provincia autonoma di Bolzano (46 comuni, 59%) e il Veneto (327 Comuni, 56%).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: