sabato 18 marzo 2017
Nel Milanese un'associazione raccoglie la solidarietà per gli abitanti del Centro Italia. Il clown Albicocco: «Si aiuta anche con un sorriso»
Il clown Albicocco (Facebook)

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All’indomani del terremoto di Amatrice, Massimo ha indossato il suo naso rosso, si è messo in macchina e ha guidato dalle porte di Milano fino alle tende piene di bambini rimasti senza niente, per portare loro uno di quei beni che non arrivano nei pacchi di aiuti: il sorriso.

Massimo è un clown per volontariato. È il clown Albicocco, e anche qui lo chiameremo così, come lo conoscono i bimbi senza più una casa. «Perché vestito così, da clown, nessuno mi ferma». E infatti ad Amatrice è arrivato lì dove voleva: ad allietare le giornate di grandi e piccini con i suoi giochi e il suo umorismo. Dopo l’incontro con i terremotati è tornato a casa con un peso sul cuore. Con la voglia di fare di più. Insieme ad altre persone conosciute sul posto, tra cui il parroco don Savino D’Amelio e il sindaco Sergio Pirozzi, ha pensato a un progetto a lunga gittata. È nata così l’associazione “Un abbraccio che non trema”. «Non abbiamo molto di più che il nostro abbraccio – spiega Albicocco -. Vorremmo però che possa essere forte e lungo perché i terremotati hanno bisogno di non sentirsi lasciati soli, di sapere che qualcuno penserà a loro anche quando i riflettori si saranno spenti».

L’organizzazione di volontariato è nata a fine gennaio, ha una pagina Facebook dove si racconta la sua attività, dagli incontri con le famiglie di Amatrice, agli aiuti fatti pervenire al parroco, a quelli per una cooperativa di castanicoltori che aveva bisogno di generatori elettrici e deumidificatori per riprendere la produzione. Per raccogliere i fondi ognuno fa la sua parte: lotterie, cene a tema, teatro...


Albicocco fa i suoi spettacoli nelle scuole dell’hinterland milanese. Ha spalle larghe e mani grandi: quando non fa il clown lavora in fabbrica, in una grande industria alimentare. Ai bambini più fortunati parla dei loro coetanei conosciuti nei luoghi delle emergenze, da volontario con alcune onlus, nei centri di accoglienza di Lampedusa. E oggi racconta soprattutto di Amatrice e degli altri paesi del Centro Italia. Dei bimbi bloccati dalla neve nelle strutture d’emergenza perché «avevano cappotti su cappotti ma non c’erano gli scarponcini».


«Un giorno - dice - mi è venuto istintivo prendere il telefono e chiamare le persone di Amatrice per chiedere, quasi con vergogna, visto che c’è bisogno di tanto in questa continua emergenza, se avessero bisogno di qualcosa in particolare. Mi hanno fatto una richiesta speciale. Di vestiti, saponi e dentifrici ne hanno… mi hanno chiesto i contatti e la voce di coloro che li stanno aiutando. Perché quando non hai più nulla e ti senti impotente hai solo bisogno di parlare con qualcuno, che sia per raccontarsi una barzelletta o parlare di come piantare l'insalata nell'orto, ma basta parlare...». Basta un sorriso, basta un abbraccio, purché non tremi come a volte trema la terra e, purtroppo, anche la mano di chi dovrebbe aiutare.


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