giovedì 4 agosto 2016
Rimpatriati per i legami con gruppi islamisti violenti e un possibile impegno diretto nell'azione di proselitismo.
Terrorismo, espulsi un marocchino e due tunisini
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Legami con il terrorismo islamico e un possibile impegno diretto nell'azione di proselitismo. È il sospetto che ha portato all'espulsione di due tunisini e un marocchino dall'Italia. Provvedimenti che arrivano a pochi giorni di distanza dall'allontanamento dal territorio nazionale dell'ex campione della giovanile italiana di cricket Aftab Farooq, il magazziniere pachistano accusato di essere un aspirante combattente dell'Isis. E che fa salire a 107, a partire dal 2015, il numero dei rimpatri forzati per ragioni di sicurezza dello Stato. Un dato che conferma, secondo il ministro Angelino Alfano che ha firmato i provvedimenti, "l'intensa attività di prevenzione per abbassare il più possibile il livello di rischio in Italia, pur nella consapevolezza che nessun Paese, oggi, può dirsi a rischio zero".    I due tunisini hanno lasciato l'Italia con un volo partito da Catania e diretto a Tunisi. Dalle indagini a loro carico "sono stati accertati legami con movimenti terroristici oltre a vari elementi che li hanno tratteggiati come soggetti socialmente pericolosi", spiega il titolare del Viminale. Passati al setaccio i loro profili Facebook e telefoni cellulari "sono emersi anche contatti con persone palesemente sostenitrici dell'estremismo religioso di matrice islamica e, specificamente, con il gruppo islamista Jabat al Nusra". Un quadro che "ha indotto i nostri investigatori a ritenere che i due cittadini tunisini potessero essere impegnati nella diffusione del messaggio radicale con finalità di proselitismo, oltre che legati, in qualche modo, a persone appartenenti a formazioni estremiste". Stesso identico quadro per il marocchino espulso in serata. 34 anni, residente a Fidenza in provincia di Parma "aveva postato e condiviso sul proprio profilo Facebook contenuti che ne hanno evidenziato la fascinazione per IS. Inoltre, era in contatto virtuale con internauti dello stesso orientamento, tra cui verosimilmente due miliziani dell'organizzazione terroristica" precisa il ministro Alfano. Intanto si difendono gli imam genovesi indagati per associazione con finalità terroristiche nell'inchiesta della procura che ha portato all'arresto di un giovane siriano di 23 anni che stava per arruolarsi tra le fila del gruppo qaedista Al-Nusra: "predichiamo la pace, sempre", "siamo contro il terrorismo". L'attenzione degli inquirenti è puntata soprattutto su uno di loro, l'albanese Blender Breshra, ritenuto il capo della cellula che stava per nascere in città. Sotto la lente di ingrandimento ci sono una serie di viaggi che l'imam ha fatto quest'anno soprattutto in due Paesi colpiti dai recenti attentati, Francia e Germania, e che fanno pensare anche perchè l'uomo non svolge alcuna attività lavorativa. Sotto esame è anche il gruppo creato su WhatsApp, dove il giovane siriano arrestato criticava l'attendismo di una certa parte del sunnismo per non aver portato ancora l'attacco al cuore dello sciismo in Iran. E gli inquirenti guardano con sospetto all'uso da parte dell'imam di applicazioni di messaggistica per smarthphone difficili da intercettare, alla "schermatura" internet della nuova moschea creata a Sampierdarena, e alle ore passate dentro internet point: forse "stratagemmi" per contattare in massima sicurezza personaggi pericolosi e fare proselitismo via web. Breshra però si difende: quel giovane "non ha mai parlato con me dell'arruolamento, è venuto qui per una visita e a fare la preghiera". Fratelli d'Italia, intanto, chiede che siano chiusi i centri di culto genovesi dove predicano i tre imam indagati.  
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