martedì 12 settembre 2017
Per due volte in un mese il Dipartimento nazionale aveva inviato "raccomandazioni operative" a Regioni e Comuni, per i rischi idrogeologici aggravati dagli incendi. E su come coinvolgere i cittadini
Allarmi d'agosto ignorati. Ora avvisi in tempo reale
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Per ben due volte in un mese il Dipartimento della Protezione civile aveva avvertito regioni, comuni, prefetture e ben otto ministeri sull’aumentato rischio idrogeologico in arrivo. Dando precise indicazioni di comportamento. Una prima volta l’1 agosto, a firma del capo del Dipartimento Fabrizio Curcio, una seconda volta il 31 agosto, a firma del successore, Angelo Borrelli. Due 'raccomandazioni operative' particolarmente urgenti, soprattutto a causa di una stagione eccezionalmente secca e caratterizzata da moltissimi incendi che, distruggendo il patrimonio forestale, «possono favorire – si legge nel primo documento – i fenomeni di dissesto dei versanti provocando, in caso di piogge intense e/o prolungate, l’erosione del terreno e il possibile innesco di frane». Cosa che sta avvenendo in questi giorni in molte zone d’Italia. Da qui la preoccupazione di coinvolgere tutte le istituzioni sul territorio e gli stessi cittadini. Nella prima 'raccomandazione' si sottolineava, infatti, come fosse «necessario che le Regioni, le Province autonome, le Città metropolitane e le Province forniscano un adeguato supporto di natura tecnica alle Amministrazioni comunali nella valutazione della criticità idrogeologica. Analogamente i Comuni dovranno essere sensibilizzati ad aggiornare i propri piani di emergenza, sulla base delle nuove o aggravate condizioni di rischio e ad attuare altre iniziative di prevenzione non strutturale volte a informare la popolazione sui corretti comportamenti da adottare in relazione al rischio».

Affermazioni ulteriormente rafforzate nella seconda 'raccomandazione' che, dopo aver fatto riferimento al primo documento (come se fosse rimasto lettera morta…), afferma come «le procedure di prevenzione e di intervento possono essere davvero efficaci se condivise, comprese e applicate in modo coordinato da parte di tutti i soggetti del sistema di protezione civile e quindi anche dalla popolazione, ragione per cui – sottolineava Borrelli – è di fondamentale importanza che il piano di emergenza venga costantemente aggiornato, che tutti i soggetti coinvolti siano preparati, anche attraverso esercitazioni e che la cittadinanza sia informata sui corretti comportamenti da adottare prima, durante e dopo un evento». Parole che riportano immediatamente a quanto accaduto a Livorno e ad alcune criticità emerse, accompagnate anche dalle prime polemiche politiche. E ancora di più la successiva frase. «Nell’ottica di una migliore coerenza e tempestività del sistema di allertamento nazionale – si legge, infatti, nel documento inviato dodici giorni fa –, si sollecitano le Regioni e le Province autonome a recepire le indicazioni per l’omogeneizzazione dei messaggi di allerta meteo-idro e delle relative fasi operative, affinché il sistema di protezione civile parli, soprattutto ai cittadini, la stessa lingua, nel modo più chiaro e comprensibile possibile».

Le odierne questioni sui codici di allerta arancione e rosso, ma anche le gravi carenze emerse nel passato ad esempio a Genova e in Sardegna (con processi e condanne), confermano questa preoccupazione. Eppure basterebbero piccole iniziative, quasi a costo zero per salvare vite umane, come ci spiega Mauro Grassi, direttore di #ItaliaSicura, la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche della Presidenza del Consiglio. «Servono interventi non strutturali, di informazione e comunicazione. Se ti dò l’allerta gialla, arancione o rossa significa che in una zona ci sarà una pioggia intensa o meno intensa. Ma questo non basta perché si tratta di previsioni molto ampie mentre questi eventi estremi sono molto localizzati». Invece, aggiunge Grassi, «quando arriva una pioggia di quel tipo e i sensori mettono in evidenza che è un’ora che piove a quel livello dovrebbero scattare allarmi locali, con sms o telefonate ai cittadini o addirittura passando per le strade col megafono. È un allarme di secondo livello». In altre parole «io noto che la pioggia è fuori dal normale, e dopo un’ora lo posso capire, e posso avvertire per tempo la popolazione. Soprattutto chi si trova più a rischio. Chi sta vicino ai corsi d’acqua, o vive nei seminterrati ai piani bassi, dà al comune l’autorizzazione ad essere avvertito e quando succedono queste cose gli arriva l’avviso». Insomma, «non si tratta di proposte avveniristiche. È solo un problema di organizzazione. Ma bisogna che il sindaco si ricordi che a livello locale è lui il capo della protezione civile». Ed era proprio tra le cose raccomandate dalla Protezione civile.

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