giovedì 5 gennaio 2017
A Gallarate tra i pazienti in cerca dei ricordi perduti.
I due pazienti "viaggiatori" con una operatrice in "stazione"

I due pazienti "viaggiatori" con una operatrice in "stazione"

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Il signor Paolo Brignoli, 74 anni ben portati, maglione rosso fuoco e pantaloni bejge, entra nella stazioncina a passo veloce e supera senza leggerlo il tabellone con gli orari dei treni: lo sa già, il Como-Milano parte sempre dal binario 4. Apre il portello e si accomoda sul sedile dello scompartimento un po’ retrò. Di fronte a lui è già seduto un altro passeggero, elegante in cardigan blu e camicia bianca. La stretta di mano è cordiale: «Piacere, Galileo Rosso». Paolo solleva il polsino per guardare l’orologio: «Tra poco dovrebbe muoversi», annuncia. Galileo conferma: «Eh sì, ormai è ora». Sulla griglia portabagagli sono sistemate tre valigie in cuoio vecchio stile. Alle pareti, le classiche stampe in bianco e nero di una volta, con vedute di Roma e di Venezia. «Si parte», dice Paolo. «Si parte», ripete Galileo confortato dal ciuf ciuf di fondo, mentre lentamente nel finestrino il paesaggio comincia a scorrere. «Tra pochi minuti sarò a Rimini», sorride Paolo. «Io a Parigi», annuisce Galileo.


Un milione i malati di demenza in Italia

L’atmosfera è ovattata e la gentilezza dei due uomini è d’altri tempi. Paolo Brignoli – ci ha raccontato poco prima la moglie Ornella – quando ancora non era malato di Alzheimer aveva il negozio di frutta e verdura. Gran lavoratore, cordiale e generoso, è sempre stato attivo in parrocchia e all’oratorio. Talora crede ancora di averlo, il suo banco di frutta a Busto Arsizio, e solo la 'cura del treno' lo rasserena: «Il trattamento serve sia a lui che a me – ha spiegato Ornella –, prima a casa non sapevo gestirlo quando degenerava un po’ perché non trovava il suo furgone del lavoro. Ora invece grazie a loro ho imparato: lo porto in giro in macchina e facciamo finta di cercarlo, e questo gli basta». Loro sono psicologi e operatori di 3SG Camelot, azienda pubblica lombarda che dà supporti a chi in casa gestisce un familiare affetto da Alzheimer. Le tre 'S' stanno per servizi socio sanitari e la G per Gallarate. «In Italia sono almeno un milione le persone colpite da demenza, una diagnosi che precipita nella disperazione le famiglie a causa del grave vuoto di interventi e di supporto.



Il treno, la stazione... tutto è finto. Ma noi partiamo!

Nel 2012 abbiamo vinto il bando del ministero delle Politiche sociali proprio grazie a progetti molto concreti in tal senso – ci ha spiegato Marusca Bianco, responsabile del centro, accompagnandoci al cosiddetto 'Treno della memoria' –. Noi prendiamo in carico il paziente e l’intera sua famiglia, perché quando i ricordi svaniscono e un padre o una moglie non ti riconoscono più né sanno più chi sono, ad ammalarsi sono tutti». «Voglio andare a casa», è la frase tipica con cui il malato di Alzheimer scappa proprio da casa sua non sapendo di esserci già, perché «ciò che cerca non è un luogo fisico, è un luogo interiore che sente come sicuro, spesso la casa di quando era bambino». In linguaggio medico si dice che è affetto da 'wandering', vagabondaggio, e in questa ricerca spesso si perde, a volte senza lasciare tracce. La finta stazione ferroviaria allestita a Camelot, con tanto di biglietteria, sala d’aspetto e tabelloni elettronici (dipinti) che segnano orari e binari, punta proprio a curare questi comportamenti. L’effetto è realistico: il finestrino è un monitor a grandezza naturale sul quale scorrono veri paesaggi ripresi da treni in corsa, mentre i fischi del macchinista e il rumore ritmico dei binari completano l’illusione.



"Biglietti, prego!". Ma il controllore è lo psicologo...

Nessun miracolo, dall’Alzheimer non si guarisce – chiariscono gli psicologi –, ma il treno è una vera «terapia non farmacologica», che appaga quel bisogno di fuga, rilassa le tensioni e facilita in modo evidente la comunicazione. «Spesso salgo a bordo anch’io perché il viaggio è un potente facilitatore della comunicazione », ci racconta il marito di una paziente. La sua ossessione è un baule mai esistito, un pensiero che le toglie la pace. «Mia moglie per lavoro ha viaggiato molto e solo con il treno si stabilizza, per qualche giorno il baule scompare ». Qualcuno che non parlava più da anni, in carrozza ha pronunciato qualche parola: deboli segnali di una vita sepolta chissà dove, miracoli, per chi li capta dal nostro mondo... «Sono contento di tornare a Parigi, per lavoro ci andavo spesso», conversa in carrozza il signor Galileo. «C’è ordine, gente elegante e belle ragazze». «Io per partire ho dovuto chiudere qualche giorno il negozio di frutta», risponde di buon grado il signor Paolo. «E va fino a Parigi per comprare le mele? Per forza hanno certi prezzi!», ribatte Galileo, che forse scherza, forse no. Il treno fischia e accelera, dal finestrino le case e gli alberi sfrecciano più veloci. «Biglietti, prego». Barba nera e jeans, chi si affaccia allo scompartimento è Gianmaria Messina, l’esperto di stimolazione cognitiva, ma i due viaggiatori-pazienti si preoccupano: nessuno si è ricordato di passare in biglietteria. «Io mi sono aggregato a lui», si discolpa Galileo indicando l’amico. «Ma io ho l’abbonamento », si difende con prontezza Paolo. Il controllore si accomoda tra loro e la conversazione riprende come niente fosse. «Sono nato a Padova nel 1932 e ho avuto una vita molto avventurosa. Cameriere presso i conti Agusta, ho incontrato i vip di fama internazionale...».



"Un delirio terapeutico" che fa bene anche alla famiglia

Per un misterioso meccanismo ben noto ai neurologi, se il presente è del tutto remoto, il passato invece è ben presente. «Non ricordo in che anno siamo, direi 2010, forse gennaio – continua Galileo –. Nell’ottobre 1954 ero militare di leva a Trieste, addestrato come telegrafista, e il 26 ottobre fui io a comunicare alla nazione il ritorno di Trieste all’Italia, con l’alfabeto Morse: alfa bravo charlie delta echo foxtrot... », lo recita tutto in un fiato fino alla zeta di « zulu ». Basta questo e tutto cambia, come per magia: niente più Rimini, niente più Parigi, «il treno ci sta portando a Trieste», sorride Paolo sempre cortese. Non è chiaro quanto ci credono e quanto bluffano, ma questo per gli operatori non ha alcuna importanza, «noi non smentiamo il loro piano di realtà qualunque sia, laddove lo interpretano come un vero viaggio li assecondiamo», spiega il controllore. Insomma, «si delira con loro », un delirare terapeutico, un non detto che crea relazione. Il 'Treno' non è adatto a tutti, può far bene o male, e prima di prescriverlo l’équipe valuta i disturbi del comportamento e il deficit cognitivo del paziente, «cosa c’è e cosa non c’è più». Proprio come un farmaco, è somministrato in dosi personalizzate e ricalibrate in corso d’opera secondo obiettivi precisi, «che vanno dal tranquillizzare», se sono pazienti agitati, «al mantenere quel minimo residuale ma importantissimo di funzioni cognitive » nelle menti più perse. La malattia non regredirà, ma senza dubbio ci si convive meglio.


Vera arma di... distrazione

È passata solo mezz’ora, ma il 'Treno della memoria' ci ha trasportati in un tempo che non è più lo stesso di quando siamo saliti, il relax ci ha sbalzati in uno strano altrove, sufficiente ad affezionarsi. «Milano Cadorna», ci riscuote l’altoparlante, è il capolinea, si scende. Fuori, né Rimini, né Parigi e nemmeno Trieste, ma Galileo e Paolo non fanno una piega, «ottimo viaggio, veloce e silenzioso», si salutano. Siamo a Camelot, esattamente nel punto da cui eravamo partiti e i familiari li attendono nella stessa stazione. Noi, i sani, straniti e vagamente inquieti, loro, i malati, contenti come chi torna da una lunga vacanza. «L’avevo avvertita», ci sorride misterioso il controllore allontanandosi dal binario, «questo treno è una vera arma di distrazione... ».



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