martedì 18 maggio 2010
Il ministro della Giustizia intervenendo alla Festa della Polizia Penitenziaria: «"È di fondamentale importanza che all'interno del carcere non sia consentito a nessuno di affermare, con intollerabili privilegi o sopraffazioni, il proprio rango criminale». Napolitano: «Ineludibile l'attuazione di interventi normativi e organizzativi per il superamentodelle molte criticità»
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«Il carcere non è più e non deve assolutamente tornare ad essere una accademia del crimine". È quanto avverte il ministro della Giustizia Angelino Alfano, intervenendo all'Arco di Costantino alla Festa della Polizia Penitenziaria, alla presenza fra gli altri del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «È di fondamentale importanza - sottolinea il Guardasigilli - che all'interno del carcere non sia consentito a nessuno di affermare, con intollerabili privilegi o sopraffazioni, il proprio rango criminale».Alfano tiene a ribadire che «all'interno degli istituti penitenziari devono essere riconosciuti i soli valori che reggono la nostra democrazia». Tuttavia, confessa, «è ben noto che tale controllo diventa ancora più delicato e rischioso allorquando i detenuti facciano parte di consorterie criminali di tipo mafioso, le quali per loro stessa natura tendono a mantenere forme di visibilità e di potere anche all'interno degli istituti penitenziari».Proprio per evitare che l'attività delinquenziale continuasse anche all'interno delle carceri, ricorda Alfano, «in non poche occasioni il senso dello Stato degli uomini della Polizia Penitenziaria si è spinto fino all'estremo sacrificio, quando è stato necessario frapporre alla prevaricazione mafiosa la propria integrità morale e l'adempimento del dovere».Proprio in tal senso, il ministro della Giustizia dà atto alla polizia penitenziaria di essere «costantemente impegnata al fianco delle strutture antimafia giudiziarie e di polizia, per garantire la corretta e rigorosa applicazione del regime speciale previsto dall'articolo 41 bis, che contribuisce a smantellare queste consorterie ponendo una netta separazione tra i boss detenuti e gli affiliati ancora presenti sul territorio». Ciò va inteso come «parte integrante della strategia del governo Berlusconi che si poggia sull'aggressione ai beni mafiosi e sulla cattura dei latitanti». Alfano fornisce alcune cifre significative: alla data del suo insediamento al dicastero nel maggio 2008, i detenuti sottoposti al 41 bis erano 564, saliti a 616 nel maggio 2009 e a 671 (668 uomini e 3 donne) al maggio 2010. Del totale dei detenuti al carcere duro, 576 appartengono a organizzazioni criminali di stampo mafioso, fra cui 258 affiliati alla camorra, e 209 a cosa nostra.Nei primi 5 mesi dell'anno in corso, sono stati 35 i decreti di nuova applicazione e 124 le proroghe, mentre si è notevolmente abbattuto il numero dei provvedimenti applicativi del 41 bis annullati dai Tribunali di sorveglianza, scesi dai 68 del 2008 ai 37 del 2009 e ai 6 dei primi 5 mesi del 2010.Napolitano. È ormai «ineludibile l'attuazione di interventi normativi e organizzativi per il superamentodelle molte criticità che caratterizzano il sistema carcerario italiano. Lo sostiene il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio inviato al Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitanziaria Franco Ionta in occasione del 193/esimo anniversario difondazione. Il Parlamento e il Governo, afferma ancora il Capo dello Stato, «stanno affrontando queste esigenze di multiforme intervento: auspico che il loro impegno conduca al più presto a risultati concreti che soddisfino le attuali esigenze del sistema di gestione della pena e rendano meno oneroso il quotidiano svolgimento delle attività demandate alla Polizia Penitenziaria».
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