sabato 15 aprile 2017
Per 26 anni chiuso nel proprio corpo. «Sono tornato al mondo». «È stato come ritrovare un me sepolto, che è sempre stato lì ma non si era mai svegliato»
Alessandro Trevisan, seduto, è con Roberta e Gioele (in mezzo a loro Carmelo, un altro ospite del "Sorriso")

Alessandro Trevisan, seduto, è con Roberta e Gioele (in mezzo a loro Carmelo, un altro ospite del "Sorriso")

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«Avete presente una valvola a pressione, un motore inceppato, una stanza buia, un potenziale inespresso? Ecco, io prima ero così». Bisogna immaginare che cosa vuol dire restare chiusi per 26 anni nel proprio corpo che non ha voce per parlare, che non ha mani per scrivere, che non ha braccia per mimare. Che non può dire «io ci sono, non sono stupido». Poi finalmente qualcuno si accorge che dentro quel corpo inerte c’è una persona, allora bussa, cerca un linguaggio comune come si fa con i marziani sondando lo spazio... «Capirono che non potevo parlare ma che forse avrei potuto scrivere: è stato come ritrovare un me sepolto, che è sempre stato lì ma non si era mai svegliato completamente. Scrivere mi ha liberato dalla prigione della mia oscurità».

Oggi Alessandro Trevisan, il marziano tornato dal suo spazio interiore, ha 31 anni ed è innamorato della vita così tardi conquistata. Nato a Milano nel maggio dell’86, era un bimbo sano, fin quando a un mese un’emorragia cerebrale gli ha provocato prima il coma, poi un autismo che lo ha chiuso nel suo mondo fatto di autolesionismo (ha perso un occhio a causa degli schiaffi che si è dato), emiparesi spastica, crisi epilettiche. Ciononostante – racconta Vittorio Mandelli, coordinatore del Centro diurno 'Il Sorriso' di Carugate, dove incontriamo Ale – ha sempre frequentato la scuola insieme agli altri ragazzi fino alle superiori, imparando in cuor suo a leggere e scrivere... Nozioni apparentemente 'inutili' per uno come lui, che invece restavano lì dentro, come il fieno in cascina, pronte a sgorgare quando al 'Sorriso' hanno capito che bastava reggergli la mano sulla tastiera del computer e lui, come un Pinocchio inanimato, avrebbe preso vita. «Tutto è iniziato 5 anni fa – racconta Roberta Sirtori, 37 anni, educatrice – , quando per Ale anche una sedia nuova scatenava il suo prendersi a botte. Ho pensato che comunque era un adulto di 26 anni ed era giusto che attorno a sé non avesse solo operatrici ma qualche coetaneo, un amico come tutti lo hanno».

E qui è entrato in scena Gioele Vitali, 22 anni, uno tra gli oltre cento volontari che gravitano sul 'Sorriso', vero miracolo del tessuto sociale carugatese: «Roberta era la mia catechista – spiega Gioele –. Mi è sempre venuto spontaneo considerare Ale alla pari con me, anzi, come un fratello maggiore. Ci siamo raccontati a vicenda ed è sorto un rapporto di amicizia come succede normalmente tra le persone. Oggi sono operatore socio sanitario, quindi grazie a lui ho trovato la mia strada».


Proprio dall’amicizia è nato il bisogno di comunicare, la scintilla che ha innescato l’incendio della scrittura, un fiume in piena di contenuti, un’onda trattenuta per decenni e ora libera di uscire, riempire pagine di pensieri e poesie, «rendere visibili le parole che non avevo mai potuto dire con la voce». Il tutto grazie a Roberta, la 'mano' obbediente che gli regge il braccio e lo asseconda sulla tastiera con un delicato equilibrio di simbiosi. Ma a condurre le danze sui tasti è Ale, autore unico degli scritti che prendono forma sullo schermo. «Scusami, non sono tanto presentabile», 'dice' alla giornalista venuta a intervistarlo.

Sa che il vero Ale è ben nascosto, lo ha anche scritto in un suo libro, affascinante viaggio al suo interno: «Vedermi equivale ad annullare il vostro concetto di disabile capace di scrivere queste pagine», avverte i lettori, «perché come sono 'da fuori' è in contrasto con ciò che sono e sento dentro. È questo il bello: andare oltre». Uno come lui è costretto all’essenziale, delle apparenze non sa che farsene. All’amicizia deve tutto, ma sa anche che i suoi limiti «non sono piacevoli, all’inizio li si accetta, poi giustamente si prendono le distanze. Non è scontato sedersi con me, pensare che io capisca tutto. Ma fortunatamente ci sono le amicizie silenziose, non hanno bisogno di parlare, vivono di presenza».

All’amore pensa come «a un recipiente a disposizione di chi ha sete...» e ognuno ha il suo, grande o piccolo: «La differenza sta nel decidere che cosa farne dell’acqua». Questo è l’Ale vero, quello rinato, quello che 'Sembra stupido ma non lo è', titolo di una sua poesia: Quante volte mi avete giudicato per quello che avete visto, uno schiaffo, un grido, un morso, per quello che faccio, per quello che non sono.... Poi, a un certo punto, leggete le mie poesie e ciò che dite è 'non si direbbe'. E invece ecco quello che sono: quello che non vedete. 'Il resto è tuo' è il titolo del suo libro, perché «io ti ho detto chi sono – spiega –, vedi tu ora come percepirmi, se un disabile o un uomo come te, diverso da te».

Come il Pinocchio che i 63 disabili del 'Sorriso' hanno rappresentato al Teatro Don Bosco di Carugate con un colpo di scena finale, quando Marco – attore Down – tra diventare bambino o restare burattino sceglie il se stesso che è: «Sai che ti dico? Io rimango Pinocchio». La libertà di essere diversi.

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