domenica 20 ottobre 2019
Dove sono state introdotte, hanno aiutato le foreste a resistere alle catastrofi naturali. In primavera saranno create isole sperimentali
L’immagine simbolo della devastazione provocata dalla tempesta

L’immagine simbolo della devastazione provocata dalla tempesta

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Un anno fa, tra il 28 ed il 29 ottobre, la tempesta Vaia abbatteva 8,6 milioni di metri cubi di alberi, sette volte la quantità di tronchi da sega lavorati annualmente in media in Italia. L’uragano investiva 41.491 ettari di foresta; il più grave danno ambientale patito dai boschi italiani secondo le analisi degli esperti. Un anno dopo? In Friuli Venezia Giulia, come ha dichiarato recentemente il governatore Massimiliano Fedriga, la ricostruzione è avvenuta al 98% ma la pulizia dei boschi non è allo stesso livello. La bonifica dagli schianti è invece al 90% sull’Altopiano del Cansiglio, tra le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia; 41mila gli abeti rossi ed i faggi abbattuti. Si è avanti con i cantieri in Val Visdende e sull’Altopiano di Asiago, un po’ più indietro nell’Alto Agordino, dove però è difficile intervenire perché ci sono versanti con pendenze all’85%. In Trentino Alto Adige, le Province quantificano il livello di pulizia intorno al 70%.

Il Club Alpino Italiano, durante un convegno svoltosi ieri a Vittorio Veneto, ha posto il problema della rinnovazione dei territori schiantati: artificializzarla o lasciarla libera? Le comunità regoliere del Comelico e della Val Visdende hanno affermato che non semineranno alcuna pianta ma che il processo sarà lasciato alla rinaturalizzazione. «Le sperimentazioni fatte in Svizzera ci dicono che sostanzialmente non c’è nessuna differenza, in termine di tempo e di qualità, tra la rigenerazione in maniera naturale e quella artificiale – sottolinea Davide Pettenella, dell’Università di Padova –. Tanti di noi preferiscono dar corso alla natura, anche per i costi inferiori che ci sono. È indispensabile, però, creare dei nuclei di rinnovazione di latifoglie (aceri, frassini, sorbi) che possano aiutare il processo di diversificazione delle specie del bosco e assecondare l’adattamento della foresta ai cambiamenti climatici». Come ha spiegato al seminario del Cai, Pettenella ritiene necessario alzare i piani della vegetazione e far salire quindi le specie arboree di centinaia di metri. Come dire che il faggio, dimostratosi più resistente delle altre piante un anno fa, potrebbe espandersi verso le altitudini adesso coperte dall’abete bianco. E che l’abete rosso potrebbe occupare le aree del larice. E il larice salire ancora. D’altra parte - fa osservare Pettenella - già oggi in alcune valli bellunesi si coltivano i vigneti, persino il Prosecco. Ci sono Forestali, come Andrea Maroè, lo “scalatore degli alberi”, che sostengono l’opportunità di integrare le specie arboree delle Alpi con specie esotiche, non tropicali, che in altri contesti - vedi la California - hanno dimostrato una capacità di adattamento complementare. «Abbiamo fatto tanti errori nel passato, diffondendo specie esotiche dove non ce n’era bisogno – sottolinea Pettenella –. Abbiamo però anche alcuni casi positivi; penso alla piantagione della duglasia, specie che proviene dalle coste occidentali degli Stati Uniti e del Canada e che ha dimostrato di saper resistere anche alle catastrofi naturali di quei Paesi. Ecco, potrebbe essere integrata nei nostri boschi per diversificarli».

I primi esperimenti di rinnovazione e di diversificazione saranno avviati in Cansiglio nella prossima primavera, con la creazione di “isole” forestali di 2-3 ettari, recintate per evitare l’assalto dei cervi. «In queste aree – anticipa Giustino Mezzalira, dell’Ente Veneto Agricoltura – pianteremo, accanto all’abete rosso, all’abete bianco e al faggio che ricresceranno spontaneamente, provenienze più meridionali come il faggio dell’Italia centrale e latifoglie più termofile (che amano il caldo), come i tigli ed i ciliegi selvatici; questo per dar modo al bosco di essere più vario e misto e implementare le chance di selezionare per la natura». Dal Cansiglio verranno rimosse per gran parte tutte le ceppaie (al costo di 10-15 euro l’una) che saranno prima accatastate per asciugarsi e poi triturate con dei cippatori. «Il cippato – conclude Mezzalira – sarà valorizzato ad uso industriale e in parte trasformato in biomassa per la coltivazione del bosco da rinnovare».

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