martedì 19 gennaio 2021
La strategia del premier: il negoziato parte dopo, con ristori e Recovery. L’Udc ribadisce il «no». Campagna d’odio contro Segre che annuncia la fiducia. Zingaretti: strada complicata, ma va percorsa
Al Senato la forbice è tra 154 e 158 «Ne basta uno in più, poi verranno»
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Il risultato minimo al Senato sotto il quale Giuseppe Conte potrebbe essere indotto dal Pd (e dalla componente 'realista' di M5s) alle dimissioni è 154. Il «sogno» di Palazzo Chigi, invece, è 158. In mezzo, ipotesi più credibile, numeri che lascerebbero la situazione come sospesa. «Ne basta uno in più», continua a ripetere Giuseppe Conte a chi gli porta le ultime notizie da Palazzo Madama. Perché il disegno del premier va oltre il voto in Aula di oggi.

È una trattativa complessa che inizia dopo la seconda fiducia. E che ruota intorno a quattro assi: il primo, il decreto-Ristori, 32 miliardi di spesa in deficit che il premier aprirà ampiamente alle modifiche parlamentari e alle richieste dei 'volenterosi' che inizieranno ad affacciarsi oggi per palesarsi pienamente, alla spicciolata, nei giorni successivi; il secondo, il Recovery plan, che le commissioni e le Aule potranno emendare; il terzo, il più importante, il patto di legislatura con conseguente rimpasto; il quarto asse è quel «io farò la mia parte» che il premier pronuncia alla fine del suo discorso a Montecitorio, che sembra indicare una imminente discesa in campo come leader e riferimento dei neo-responsabili, la cui prima garanzia è una legge elettorale proporzionale. Parlando ai suoi senatori, il segretario del Pd Nicola Zingaretti sembra avere ben davanti agli occhi tutti i limiti e i rischi di questo percorso.

Il rischio di un pantano, soprattutto. Perché l’operazione-Conte potrebbe richiedere giorni, se non settimane. «La strada è stretta, strettissima - dice il governatore del Lazio -. Il percorso parlamentare è costituzionalmente corretto e politicamente forte, ma passa per numeri molto angusti e una compagine assai complessa ». Tuttavia, alternative al momento non ce ne sono. E il Pd ha come il 'dovere' - dopo lo strappo di Renzi - di accompagnare per intero il tentativo di Conte. Solo se e quando il premier avrà esaurito le sue carte, i dem prenderanno in considerazione un piano B.

In questo contesto, quindi, il risultato a Montecitorio è per Zingaretti più un auspicio che un pilastro: «Ottimo, maggioranza assoluta. Un fatto politico molto importante », scrive il segretario dem sui social. Alla vigilia del voto più importante della sua carriera politica, Conte è consapevole che la situazione al Senato è davvero fluida. La segreteria politica Udc ha ribadito il «no» alla fiducia con l’ennesimo stringato comunicato stampa di questi giorni. Tre sono i senatori centristi: De Poli, Binetti e Saccone. Non cambia nemmeno la posizione dei tre 'totiani' Romani, Quagliariello e Berruti. Dopo il «sì» di Polverini e Mon-tecitorio, si è aperto lo spiraglio per un’altra fiducia a sorpresa dentro Forza Italia, trainata dall’azione di Sandra Lonardo e, dall’esterno, del marito Clemente Mastella.

Tra i senatori a vita, Liliana Segre ha annunciato la partenza per Roma - nonostante i consigli dei medici a soprassedere per il «sì» alla fiducia, con una bruttissima coda di attacchi d’odio sui social contro la scelta della testimone della Shoah. Impossibilitato a presenziare Giorgio Napolitano, dovrebbero essere presenti (a favore del governo) Mario Monti e la scienziata Elena Cattaneo, dubbi invece sulla partecipazione ai lavori del fisico Carlo Rubbia e dell’architetto Renzo Piano. Il grosso dei negoziati, quindi, è soprattutto con gli ex 5 stelle (a partire dal comandante Gregorio De Falco) e con qualche indeciso di Italia Viva (mettendo a parte la questione di Riccardo Nencini, che mettendo a disposizione il simbolo Psi ha consentito a Renzi di fare un gruppo autonomo, e non è sfuggito ieri l’esplicito richiamo di Conte ai «socialisti»).

Nella dichiarazione di voto alla Camera, inoltre, anche Popolo protagonista (che ha la senatrice Tiziana Drago) si è sottratta alle proposte contiane. Considerando che la maggioranza parte da 151, si comprende perché non si possa andare oltre 158 e perché si rischia di restare bassi, intorno ai 154. Un numero che davvero metterebbe in difficoltà il premier e farebbe accigliare molto il Pd, a quel punto invischiata in un’operazione ritenuta troppo rischiosa. Alla fine voterà la fiducia, invece, il giornalista Tommaso Cerno.

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