sabato 27 novembre 2021
Il caso dei tanti senza dimora con gravi patologie, dimenticati: non hanno un tetto né assistenza. Caritas: per salvarli, non servono interventi post-ospedalieri temporanei ma strutture
Caritas: «Aiutate Ahmed e i senza dimora malati invisibili»

Ansa

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Ahmed potrebbe essere la nuova vittima della mancanza di assistenza per i senza dimora a Roma. Dopo Ayedi, morto il 31 ottobre perché senza un luogo dove curare la sua grave malattia, l’uomo algerino di 54 anni, altrettanto malato, è nuovamente per strada. Anche lui senza un tetto dove provare a lenire le sue piaghe. Perché un tetto per i senza dimora malati a Roma non c’è. La denuncia, come per la prima tragica storia, arriva dalla Caritas diocesana.

«Ci è sembrato perdere ogni speranza», ci spiegano al poliambulatorio di via Marsala. «Speriamo che si riesca a intervenire prima che ci sia una nuova tragedia», aggiungono. Dopo l’articolo di Avvenire che aveva raccontato il dramma di Ayedi, il direttore della Caritas diocesana, Giustino Trincia è finalmente riuscito a incontrare l’assessore alle Politiche sociali del Comune, Barbara Funari. «Si sta dando da fare per coinvolgere la Regione che è indispensabile per il lato sanità oltre che per i servizi sociali. Dalla Regione non ho ancora notizie ma noi stiamo andando avanti anche perché siamo venuti a sapere di quest’altra vicenda drammatica». Eppure, torna a denunciare, «c’è una struttura dell’ospedale San Giovanni che è stata ristrutturata, è praticamente pronta per le convalescenze post acuzie. Dovrebbe prenderla in carico la Regione in accordo con l’assessorato ai servizi sociali del Comune. Ma manca ancora la parte sanitaria. E i casi aumentano».

Come Ahmed diabetico, sieropositivo, amputato ad una gamba e che per questo va in giro in sedia a rotelle, dipendente da farmaci e forse anche da altro, incontinente. È ben noto all’ostello della Caritas, dove è stato per molti mesi. A maggio un lungo ricovero in ospedale al termine del quale è stato dimesso. Ovviamente tornando per strada. Grazie all’impegno della Caritas e dei volontari di Sant’Egidio, a settembre si era riusciti a farlo accogliere al Centro dell’Opera don Calabria, ma a causa della sua dipendenza non ha resistito e dopo due assenze ingiustificate ha perso il posto. Destinazione la strada. Malgrado le pessime condizioni di salute. In ambulatorio ha continuato a venire per medicazioni al moncone e ad un’ulcera sul tallone del piede rimasto, e anche alle mani piagate per spingere la carrozzina. Perché in strada è solo. Lui, la carrozzina e le sue malattie. Le infermiere se ne prendono cura con attenzione, e, spiegano alla Caritas, «vanno anche oltre la medicazione, aiutandolo nell’igiene personale, eppure si chiedono: a che serve, se poi lo lasciamo per strada?». Negli ultimi giorni non aveva neanche più la forza per insistere nel chiedere i farmaci, davvero come se assieme alle forze stesse perdendo ogni speranza. Anche perché per lui non ci sono posti adatti. La Sala Operativa comunale è piena. L’ostello, che lo ha accolto per mesi, non può riaccoglierlo, perché allo stadio della sua malattia non è la struttura adatta. Ma a Roma questa struttura adatta non c’è.

Lui è sicuramente per strada, ma gli operatori non lo vedono da alcuni giorni. E sono preoccupati. «Nel suo caso non parliamo solo di convalescenza ma di accoglienza strutturata che possa prendersi in carico persone così fragili e così problematiche – ci spiega il dottor Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas romana –. Non serve un intervento post ospedaliero temporaneo, ma una struttura che sia in grado di accoglierlo. Che non può essere l’ostello né altre strutture di accoglienza normale, serve qualcosa di più organizzato e strutturato». E non solo per lui. Sempre al poliambulatorio stanno seguendo da poco un altro caso molto grave. «Un altro capitolo tremendo. Una persona con problemi di salute mentale. Stiamo provando a sistematizzarlo. I servizi di salute mentale non lo prendono in carico, perché senza dimora, straniero. Non prendendolo in carico sta sulla strada e non ha alcuna intenzione di prendersi cura di se stesso, ha degli atti di autolesionismo e non lo si riesce a stabilizzare. Potrebbe andare in ospedale ma non ci sono gli estremi per un Tso. Una situazione davvero molto complessa». Che si aggiunge alle altre due.

«In pochissimi giorni abbiamo visto le tre grosse problematiche dei senza dimora, da una parte le dimissioni su strada, dall’altra il fatto che non esiste nessuna struttura dove mandare queste persone, e infine il problema della salute mentale che diventa complicato perché non ci sono strutture che prendono in carico in maniera ordinaria e si deve aspettare che accada qualche cosa di grave». Davvero un’amara riflessione. «Il disagio mentale in alcuni casi è quello che ti fa finire per strada, ma poi se stai sulla strada incrementi il disagio mentale. È un doppio binario che rende complicato tutto». Nessuno, tranne i volontari, interviene. Mentre la tragedia ogni giorno si trascina sulle strade della Capitale, sulle gambe piene di piaghe degli uomini chiocciola.

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