domenica 5 dicembre 2010
Dal 6 dicembre Phnom Penh ha stabilito le regole: niente adozione a chi ha già un bambino e più di 45 anni. E dal Paese non potranno più uscire i minori che hanno compiuto 8 anni Il dramma di chi stava per veder concludere il lungo iter. Le associazioni: è sempre più complicato adottare stranieri, i governi attuano politiche di maggiore rigore.
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Pheara ha compiuto 3 anni lo scorso 2 dicembre. I suoi quasi-genitori sognavano di accendere le candeline nella casa di Milano e invece per lui è stato un altro compleanno in orfanotrofio. Adozione bloccata, sospesa fino a data da destinarsi. Come Marco Biella, altre 146 famiglie aspettano un figlio dalla Cambogia ma non sanno se arriverà mai per loro il momento di abbracciarlo. Una quarantina di loro ha già l’abbinamento, cioè una fotografia, un nome, un bambino in carne e ossa che ha lo status di figlio, almeno sulla carta. Il problema è che il re della Cambogia il 6 dicembre ha firmato la nuova legge sulle adozioni internazionali e le coppie che erano idonee prima non necessariamente lo sono ancora oggi: saranno esclusi gli aspiranti genitori che hanno già un figlio, naturale o adottivo, o che hanno più di 45 anni, e i bambini che hanno compiuto 8 anni. Per quasi 150 famiglie italiane che attendono un figlio dal Paese asiatico è una legge capestro, che se applicata in modo retroattivo farebbe svanire i loro sogni di diventare genitori; così dal quotidiano on line www.ilsussidiario.net hanno lanciato un accorato appello al presidente Napolitano, perché intervenga sul governo cambogiano in modo che le famiglie italiane possano «concludere il proprio iter adottivo» in base alle norme precedenti. «Per i nostri bambini – si legge nella petizione – significa perdere la famiglia appena trovata. Alcuni di loro hanno 6, 7, perfino 8 anni e questo li condannerà a una vita da orfani».La Cambogia si è avviata a una legge sull’adozione dopo anni di scarsissima trasparenza. Se oggi finalmente esiste un’autorità centrale che accerta il reale stato di abbandono del bambino, prima ogni istituto decideva per conto suo quali fossero i criteri per decretare l’adottabilità di un minore. Corruzione e abusi sono stati all’ordine del giorno per anni, denunciati anche pubblicamente da alcuni enti italiani, gli stessi che oggi si rallegrano della strada della trasparenza imboccata dalla Cambogia. «Era nell’aria – spiegano al Ciai –. Alle coppie che hanno procedimenti aperti con quel Paese diremo di avere pazienza, se hanno i requisiti, altrimenti proporremo altri Paesi». L’Aibi, dal canto suo, con il presidente Marco Griffini sottolinea che la Cambogia aveva troppe criticità e che la nuova legge offre un segnale importante anche ad altri Paesi «a rischio».Un segnale positivo per le 150 coppie in attesa arriva dalla Commissione per le adozioni internazionali – l’ente che in Italia supervisiona tutto il settore –, che in via ufficiosa fa sapere ad Avvenire che i canali con i massimi livelli di Phnom Penh sono aperti e che il governo italiano segue caso per caso l’intera vicenda.Intanto già nei prossimi giorni la Cai divulgherà i dati definitivi delle adozioni internazionali nel 2009: se nel primo semestre erano state 1.859, a fine anno probabilmente saranno un po’ meno rispetto al totale del 2008, quando furono 3.977. Di certo non ci sarà nessun boom: adottare all’estero è un’impresa lunga e complicata. Le "chiusure" di Romania e Bielorussia, il recentissimo irrigidimento dell’Ungheria e del Nepal, l’aumento di adozioni nazionali di molti Paesi sudamericani, Brasile in testa, rendono sempre più scarse le disponibilità di bambini per le coppie italiane. In questi ultimi anni si stanno aprendo canali nuovi, come la Cina e alcuni Paesi africani, ma il problema è che non sempre il figlio immaginato coincide con quello reale: può essere grandicello e con con qualche problema medico o avere un paio di fratelli da cui non può essere separato. E intanto le liste d’attesa aumentano: tra le 4 e le 5 mila coppie, di cui solo il 60 per cento, dopo lunghe vicissitudini, arriverà al traguardo.
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