domenica 7 giugno 2015
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«Finché il Parlamento non si pronuncia nel senso delineato dalla sentenza della Corte costituzionale, resta incerto a quali coppie gli effetti della medesima siano applicabili». È il parere di Luciano Eusebi, docente di diritto penale all’Università Cattolica di Milano. Che aggiunge: «Ancora nebulosa rimane pure l’ammissibilità, anche in rapporto ad alcune norme tuttora vigenti della legge 40 e allo stesso riconoscimento dell’embrione umano come soggetto giuridico, della diagnosi pre-impianto, in funzione della quale si generano più embrioni, per poi prelevare da essi una o due cellule totipotenti quando ne hanno meno di otto a fini di indagine genetica, così da poter scartare gli embrioni risultanti portatori di un fattore genetico negativo». Un’operazione, sottolinea il penalista, che «prevede fin dall’inizio la generazione di embrioni cui non sarà data la possibilità di continuare a vivere ». Da qui la sua considerazione: «Pare dunque tuttora necessaria una posizione attendista, in materia, dei centri che praticano la Pma». La Consulta, in effetti, ha ammesso alla fecondazione assistita anche coppie fertili, ma «portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’articolo 6» della legge 194 sull’aborto. Dando peraltro un’indicazione stringente: il suddetto parametro di 'gravità' non dev’essere deciso arbitrariamente dalle singole strutture, bensì fissato a livello nazionale dal potere legislativo. «Emerge in questo senso – prosegue Eusebi – il rischio di un ricorso sempre più esteso alla fecondazione in vitro, con eventuale scelta successiva, a vita già iniziata, degli embrioni cui consentire la prosecuzione dell’esistenza». E a questo punto il docen- te sottolinea come «predisposizioni genetiche sfavorevoli sono in ognuno di noi», lasciando intendere che la selezione preimpianto, eccessivamente allargata, potrebbe portare a conseguenze eugenetiche. Nella sua visione, dunque, «appare al momento persistere un’incertezza normativa, anche riferita alla possibili conseguenze sanzionatorie di determinate scelte d’intervento ». Assolutamente convinto che, allo stato attuale, non sia possibile effettuare una generalizzata diagnosi pre-impianto, è pure Vincenzo Antonelli. «La Consulta si è espressa in modo chiaro – ricorda il docente di Diritto sanitario alla Luiss di Roma –. Senza una legge del Parlamento, non sarebbero individuate né le malattie per le quali poter procedere alla selezione degli embrioni, né i centri abilitati a diagnosticarle, né le procedure da seguire». E se qualcuno invocasse un intervento più veloce del Governo? «Per varare un decreto legge – risponde il professore – serve il requisito dell’urgenza. Che qui, a mio avviso, non esiste ». Semmai, sarebbe «particolarmente opportuno un confronto con la comunità scientifica».
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