lunedì 10 giugno 2019
Nel neonato Avvenire, Gigi fu dall'inizio capo cronista, poi caporedattore, infine vicedirettore. Martedì alle 11 i funerali
Luigi de Fabiani

Luigi de Fabiani

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Dalla fondazione del giornale in quel lontano 1968 ai primi anni Novanta Luigi De Fabiani è stato una delle colonne di Avvenire, testata alla quale è rimasto fedele fino al pensionamento. E sì che di occasioni di passaggio ad altre testate ne aveva avute parecchie, giornali prestigiosi lo avevano blandito e corteggiato a più riprese con insistenza senza tuttavia riuscire a smuoverlo. In realtà non poteva andarsene, sentiva che Avvenire era la sua casa. Avvenire adesso ne piange la scomparsa e ne ricorda la figura di professionista diligente e appassionato, persona corretta, leale, perbene.

Luigi De Fabiani, Gigi per tutti noi avanti in età che lo abbiamo avuto collega di redazione, maestro ed esempio, si è spento domenica a 91 anni, computi il 3 marzo scorso (i funerali si terranno martedì alle 11 nella chiesa di Santa Maria di Caravaggio, via Brioschi 38 Milano). Professionalmente veniva dall'Italia, il quotidiano della diocesi ambrosiana che a seguito della fusione con l'Avvenire d'Italia di Bologna aveva dato vita al giornale nazionale dei cattolici italiani in ottemperanza alle sollecitazioni di Paolo VI. Nel neonato Avvenire Gigi fu dall'inizio capo cronista, responsabile della redazione che si occupava dai fatti milanesi in quei tempi drammatici segnati dalla violenza politica, dalle bombe, dalle stragi, dalle prime avvisaglie di un terrorismo che sarebbe durato a lungo.

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Sotto la sua guida si sono formati plotoni di giornalisti che poi hanno avuto un ruolo importante dell'informazione italiana, in quell'ufficio della cronaca in fondo al corridoio al terzo piano della sede primigenia di Avvenire in piazza Duca d'Aosta decine di giovani hanno avuto il primo approccio con il mestiere e imparato ad affinare la curiosità, a cercare le notizie, a valutarle, a proporle ai lettori. Uno di quei ragazzi approdato nel frattempo in un'altra redazione già era avviato ad una carriera assolutamente prestigiosa se i terroristi non l'avessero trucidato sotto casa la mattina del 28 maggio 1980. Era Walter Tobagi. Gigi si recò subito sul posto e ne tornò sconvolto come mai lo avevamo visto, in lacrime.

Da capo cronista a capo redattore il passaggio fu di fatto automatico, e allora toccò a De Fabiani la responsabilità della confezione dell'intero giornale. Ricco di esperienza, lui aveva i numeri per garantire giorno dopo giorno l'uscita di un prodotto decoroso, completo e interessante, nonostante la limitatezza dei mezzi a disposizione. E intanto assicurava la sua collaborazione a varie testate locali dell'informazione cattolica.

Gli fu assegnata poi la vice direzione, non una sinecura ma un ruolo delicato in una stagione – gli anni Ottanta – estremamente critica per Avvenire, segnata da difficoltà economiche crescenti e dalla prospettiva tutt'altro che astratta che il giornale dovesse chiudere. In momenti calamitosi le parole di Gigi ispirate alla fiducia e alla fede nella Provvidenza valsero molte volte a confortare i colleghi e a rassicurare le loro famiglie. Lui era un credente vero; la sua fede mai ostentata, mai presentata come biglietto da visita, era autentica e veniva dal profondo dell'animo. Il suo essere credente andava di pari passo con una solida cultura umanistica e contribuiva a definire il carattere e il carisma di una figura fortemente impegnata nella professione, nella vita civile, nel sociale, nella vita ecclesiale, nel sindacato, negli organi professionali della categoria. Forse pochi lo sanno, ma in un contesto come quello milanese, sia nell'ambito civile che in quello ecclesiale una personalità quale Gigi De Fabiani ha rappresentato molto nei decenni di fine Novecento, fino a che le energie gli hanno consentito di esprimere una presenza attiva.

Era infine un uomo dal grande cuore, Gigi. La professione è a volte arida sotto il profilo umano, nel nostro mestiere gelosie e ripicche a volte si sprecano, ma la sua presenza in redazione bastava a limare attriti e a far superare divergenze all'apparenza insanabili. Una autorevole e mai autoritaria battuta in dialetto meneghino, un bonario rilievo travestito da consiglio pacato erano la ricetta giusta per ripristinare il clima di serenità nelle giornate più difficili.

Era una persona che sapeva cogliere il meglio dell'esistenza, consapevole che un uomo vero deve apprezzare l'arte in tutte le sue forme, la cultura in tutte le sue espressioni, e – da buon giornalista – la buona cucina, i buoni vini, i viaggi, le vacanze al mare a Deiva con la sua Luciana, alla quale era affezionatissimo, una coppia inossidabile, assieme ai figli Carlo, avvocato, e Giovanna, collega di Radio Inblu.

Dopo aver lasciato un'indelebile traccia di sé in questo che è stato per oltre un ventennio il suo giornale, lascia un vuoto amaro in noi che con lui abbiamo avuto il privilegio di lavorare. Anzi, prima ancora il privilegio di imparare da lui a lavorare.

Ci mancherai, Gigi. Non apprezzavi la retorica ma sai che questa non è una affermazione di circostanza. Ti sia lieve la terra, avrebbe detto il tuo amico Gioann Brera. Ti sia giusto premio la Luce che ti ha accolto.

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