martedì 26 luglio 2016
Gelli: «Accoglienza: gli hotspot non funzionano»
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«Che voto do ai quattro hotspot? Insufficiente. Qualcuno si guadagna un 'sei meno meno meno', ma la maggioranza è abbondantemente al di sotto. Tutti da migliorare profondamente». È una vera bocciatura quella di Federico Gelli, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, che nelle scorse settimane ha ispezionato tutti questi centri e sui quali presenterà una relazione a Parlamento e Governo. Presidente, cosa non va? L’hotspot nasce come struttura di primissima accoglienza, da un punto di vista sanitario e dell’identificazione. Assicurando poi un veloce deflusso dei migranti nell’arco di 48, massimo 72 ore verso altri centri. E invece? Purtroppo non è così. Abbiamo accertato che c’è una permanenza che dura anche alcuni mesi. Oltretutto nella maggior parte c’è una commistione tra gli ambienti che dovrebbero essere destinati alle categorie fragili, cioè donne e minori, e quelli dei maschi adulti, e soprattutto si tratta di strutture non idonee a svolgere questa funzione. Ma il vero problema è che non funziona il meccanismo di deflusso verso gli hub regionali. Cosa lo blocca? La realizzazione di questi hub che dovrebbero essere il passaggio intermedio verso una destinazione nei centri di accoglienza. È tutto lasciato alla buona volontà dei prefetti che con gli arrivi così tumultuosi delle ultime settimane ricorrono a soluzioni un po’ improvvisate. Chi sta rallentando la costituzione degli hub regionali? Ci sono territori più accoglienti e altri meno, coi sindaci che si mettono di traverso, per paure di natura elettoralistica o di consenso. Come migliorare la situazione? Ci sono possibilità di recupero importanti per le stesse strutture, sia dal punto di vista degli spazi, sia soprattutto dei requisiti organizzativi e igienico sanitari. Con la relazione prendiamo l’impegno di evidenziare gli elementi di criticità ma anche di fare proposte sia normative che organizzative. Serve una norma specifica? Da un punto di vista normativo l’hotspot non esiste. E proprio per questo, al di là delle linee di indirizzo del ministero dell’Interno, ogni territorio se l’è un po’ costruito secondo le proprie possibilità. Qualcuno ha trasformato un ex Cie, altri un Cara. Bisogna uscire da questa fase di transizione. E come? Non capisco perché non si vogliono valorizzare le buone pratiche di accoglienza e organizzazione, e trasferirle in maniera omogenea a tutto il resto. Non è possibile vedere quattro hotspot, con quattro modalità strutturali e gestionali diverse: direttamente il Comune, dato in appalto, affidato a cooperative. La situazione non è ottimale in nessuno. Per questo serve una legge che dia indirizzi, che disciplini meglio queste strutture, la loro funzione, i compiti, i requisiti minimi. Anche perché sappiamo bene che quello migratorio non è un fenomeno emergenziale, ma strutturale e quindi dobbiamo attrezzarci per gestirlo nei prossimi venti anni. Gli hotspot ci vogliono ora come tra dieci anni. Sospettate che qualcuno ci stia facendo qualche 'affare'? Dai documenti che abbiamo direi di no, almeno non nella forma macroscopica di Mafia Capitale. I controlli sono molto più rigidi, le prefetture sono più istruite e allertate nel gestire queste situazioni, però non nego la possibilità che qualcuno possa lucrare risparmiando sul vitto o sul pocket money, anche se finora non abbiamo elementi per poterlo denunciare. Vedremo cosa uscirà fuori. Cosa, invece, funziona? Grazie agli hot spot abbiamo raggiunto un primo obiettivo importante: il 99,9% dei migranti è fotosegnalato e identificato, anche grazie ad un lavoro di mediazione culturale per cui non abbiamo più sostanzialmente alcun diniego all’identificazione. Poi c’è il triage sanitario ben fatto in tutte le strutture e lo dico anche da medico. Un’assistenza ottima. Siete stati anche al centro di Mineo. Che situazione avete trovato? Veramente preoccupante. Struttura inidonea, enorme e difficilmente governabile. E poi problemi legati alle vicende giudiziarie che inficiano investimenti per il futuro. Una realtà totalmente incongrua. Insufficiente anche da un punto di vista igienico sanitario. Ma il ministero dell’Interno ci vorrebbe fare anche un hot spot. Noi formalmente abbiamo detto al ministero che non è assolutamente il caso che si vada a sovraccaricare ulteriormente quella situazione già molto fragile con una nuova struttura che ha altre finalità e altri problemi. Ci sembra un assurdità. E anche i prefetti e le procure di Catania e Caltagirone ci hanno pregato di evitare che si concentri un’ulteriore miscela esplosiva in quel contesto.
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