Stop al "diritto creativo" dei sindaci. Sono, infatti, illegittimi gli ampi poteri di ordinanza dei sindaci previsti dal "pacchetto sicurezza" del governo Berlusconi. In particolare nella parte in cui si consente l’adozione di misure a tempo indeterminato su temi di sicurezza urbana come i divieti di accattonaggio anche al di fuori di casi d’urgenza. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale bocciando l’articolo 54 comma 4 della legge 125 del 2008. «Si tratta di un errore – commenta il ministro dell’Interno, Roberto Maroni –. Ripristineremo al più presto il potere di ordinanza dei sindaci».A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tar del Veneto, cui si era rivolta l’associazione "Razzismo stop" contro l’ordinanza anti-accattonaggio del sindaco di Selvazzano Dentro, analoga a tanti provvedimenti presi da altri comuni proprio dopo l’approvazione del "pacchetto". I giudici, con la sentenza n. 115 hanno ritenuto violati gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione riguardanti il principio di eguaglianza dei cittadini, la riserva di legge, il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative.Le ordinanze dei sindaci, così come previste dal "pacchetto sicurezza", afferma la Corte, incidono «sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti». Ma questo, sentenzia la Consulta, non è possibile. «La Costituzione italiana – prosegue il documento – ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge», così come previsto dall’art. 23 della Carta. Le ordinanze però non sono leggi. Pertanto, spiega la Corte, «nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci non limitato ai casi contingibili e urgenti», il "pacchetto" «viola la riserva di legge relativa» perché «non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati».E c’è di più. Perché non solo «incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione», ma lede anche il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 della Costituzione). Questo perché «gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci». Comportamenti vietati in un comune e consentiti in quello vicino. Dunque, insiste la Corte, «vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove e inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa». Troppo potere, quindi, in mano ai sindaci che consente di adottare «restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria». Una sorta di "diritto creativo".