sabato 28 gennaio 2017
Muri di neve alti 4 metri, strade bloccate: nei paesini resta l'emergenza
Foto ecoaltomolise.net

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L’hanno trovata davanti al camino spento. Gli operatori del 118 ce l’hanno messa tutta, ma tra Montazzoli e l’ospedale di Lanciano i muri di neve erano davvero troppi. Alti quattro metri. Così, se fino al 5 gennaio si pensava che la priorità fosse la banda larga, oggi sappiamo che si può morire ancora di freddo sull’Appennino. L’anziana deceduta per ipotermia ci riporta all’Ottocento, nell’entroterra tra Abruzzo e Molise. Sopravvivi se hai abbastanza legna da ardere e qualcosa da mettere nella pentola; quando nevica non puoi permetterti di stare male, visto che anche con il bel tempo l’ambulanza arriva quando può e spesso senza medico a bordo.

È la triste realtà di Torrebruna, Fraine, Schiavi d’Abruzzoe, appunto, Montazzoli. In quest’emergenza neve in cui è successo di tutto, ma non che si sgombrassero le strade, i Sanniti dell’Adriatico sono rimasti isolati per due settimane. Sepolti dalla neve, sferzati dalle bufere, a meno quindici. Quasi tutti i centri abitati senza corrente elettrica per giorni. Caldaie in panne, come le autoclavi. Telefonini muti, peggio del solito. Strade impercorribili, sia perché le turbine erano talmente poche che i cittadini di Schiavi d’Abruzzo hanno lanciato una colletta per comprarsene una, sia perché in un territorio costellato dalle frane non era chiaro cosa vi fosse sotto il manto di neve. «Abbiamo avuto pochi codici rossi – commenta Francesco Bottone, caporedattore di www.ecoaltomolise.net, il giornale online dell’Alto Vastese – perché si sta attenti a tutto quando si è soli, ma ciò non toglie l’apprensione; temi sempre che i tuoi figli o gli anziani di casa abbiano bisogno di un me- dico e in quel caso non sapresti come aiutarli».


Dal digital divide al survival divide: alla luce fioca dei cellulari si lanciano appelli su Facebook, quando riesci ad acciuffare una tacca, giacché sei in area bianca, dove nessun gestore vuole investire, in barba alle giaculatorie sul servizio pubblico. Nelle lunghe giornate d’attesa, si consolidano le amicizie e i legami di vicinato, certo, ma mentre il mondo continua a lavorare, andare a scuola e spostarsi, tu speri che non finisca la legna. Visto dall’esterno, quest’ozio forzato può sembrare persino piacevole, ma la realtà è meno poetica di quel che appare: si ripiomba nella civiltà del camino. Con quello ti scaldi e ti fai luce, con quello sciogli la neve, con quello cucini. È inutile dire che quando arrivano i Vigili del Fuoco con il gatto delle nevi, portando pane fresco e medicine, svuoti la dispensa e li carichi di regali: «Quel momento lo viviamo come un 25 aprile: dal punto di vista psicologico, le famiglie isolate capiscono solo allora che i soccorsi sono in grado di intervenire, che nessuno le ha abbandonate», spiega Bottone.

Molti hanno dovuto attendere questo lieto fine addirittura per due settimane, vuoi perché sul più bello le due turbine della Provincia di Chieti sono finite dal meccanico, vuoi perché quella inviata dall’Anas si è infossata nella neve del monte Pizzuto ed è rimasta lì finché i trattori non l’hanno liberata, vuoi perché il potente pick-up 4x4 del Comune di Schiavi non aveva né gomme termiche né catene. Che poi mancavano anche allo spazzaneve spedito in quota dall’Anas: si è fermato a Castiglione.

Storie di ordinaria (dis)amministrazione, che dimostrano la complessità dell’impreparazione di questo Paese, inspiegabile con i soli tagli alla finanza locale: contrariamente a quanto si è detto, l’emergenza neve nell’entroterra appenninico non ha riguardato solo lontane frazioni ma ha comportato la paralisi di interi Comuni, molti dei quali, a nord della Majella, scontano anche gli effetti dei recenti terremoti del Centro Italia. In primis, quelli dell’Aquilano, ma anche centri più lontani dall’epicentro, come Chieti, dove ventimila persone sono rimaste a lungo senza luce né acqua. Situazione identica, se non peggiore, salendo a nord. Anche oltre Penne, tristemente famosa per la strage del Rigopiano. Nel Teramano, ad oggi parecchi comuni di montagna sono ancora al buio.

Del resto, nei giorni scorsi la Regione Marche ha diffidato l’Enel per interruzione di pubblico servizio. Con il disgelo, poi, riemergeranno i vecchi problemi di dissesto idrogeologico, acuiti dall’azione degli spazzaneve sul manto stradale. La viabilità locale in Abruzzo e Molise è da sempre in pessime condizioni a causa delle continue frane; alcune provinciali sono chiuse da anni perché gli enti locali non si mettono d’accordo. A Chieti, che sorge su una collina, negli ultimi giorni sono crollati interi tratti stradali, trascinando a valle condotte idriche e fognarie. «Le strade sembrano bombardate» commenta il sindaco Umberto Di Primo, il quale si appella a Gentiloni: una frana incombe sull’acquedotto che rifornisce Chieti Scalo e potrebbe lasciare a secco dall’oggi al domani ventimila persone.

Tutto questo, in un territorio che, da quando la Commissione Grandi Rischi ha svelato il pericolo, vive nell’incubo di un terremoto di magnitudo 7. Di Primio sconfortato: «Devo riaprire le scuole, ma non ho un quadro chiaro della vulnerabilità sismica. Come faccio a rischiare? Sono ventimila ragazzi...».

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