domenica 5 luglio 2020
Viaggio tra i braccianti di San Severo coi volontari e gli operatori della Caritas, tra violenze e soprusi. La sfida delle regolarizzazioni contro il racket degli sfruttatori
Un momento di incontro tra i volontari di Baobab e gli operatori della Caritas con i braccianti del “Gran ghetto” di San Severo. Sotto le tende si fa lezione di italiano

Un momento di incontro tra i volontari di Baobab e gli operatori della Caritas con i braccianti del “Gran ghetto” di San Severo. Sotto le tende si fa lezione di italiano

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«Tornate. Non ci abbandonate. Abbiamo bisogno di voi, ci dovete aiutare». È quello che si sono sentiti dire i volontari e gli operatori della Caritas di San Severo, della Flai Cgil e del centro culturale Baobab, lo scorso giovedì, nel “Gran ghetto” di Torretta Antonacci. Un ritorno tra i braccianti immigrati che vivono nell’insediamento, dopo la sospensione della scuola e dello sportello informativo sulla regolarizzazione, decisa per le minacce di un gruppo di facinorosi tra i quali alcuni militanti del sindacato Usb. «È andato tutto bene, tranquillo, anche se ci siamo sentiti osservati. Ma dovevamo venire perchè i lavoratori hanno bisogno di aiuto per capire come muoversi per la regolarizzazione», dice il segretario provinciale della Flai, Daniele Iacovelli.

Le associazioni non si sono dunque arrese di fronte alla violenza. Anche perché dopo la pausa decisa il 25 giugno, molti immigrati hanno chiesto che ritornassero. Alcuni hanno pagato anche 10 euro a “taxi” (non regolari, s’intende) per venire alla sede della Caritas, per chiedere aiuto. Soprattutto per le pratiche per la regolarizzazione, per loro molto complesse. E per evitare truffatori e sfruttatori che si sono fatti avanti offrendo a caro prezzo, anche 3.500 euro, la documentazione necessaria, ovviamente falsa. Già più di trenta immigrati sono stati aiutati nella sede di San Severo, tutti braccianti. Così si è deciso di riprendere il percorso interrotto al ghetto. «Proprio per difenderli», dice con convinzione Serena, mediatrice della Caritas. Ma, purtroppo, non in piena libertà. Discreta presenza, ma ben visibile, di alcuni poliziotti in borghese. «Li ringraziamo, ma è brutto che si debba fare volontariato sotto scorta», si sfoga ancora Serena. Ma i motivi per giustificare la presenza degli agenti c’erano tutti. Abbiamo potuto vedere un video del 18 giugno, quando a Caritas, Flai Cgil e Baobab è stato impedito l’accesso. Si vedono alcuni immigrati che portano cartelli con la scritta “Libertà” e col megafono urlano “Non vi vogliamo!”.

A guidarli sono militanti dell’Usb, gli stessi che lo scorso 15 giugno hanno affiancato il loro leader Aboubakar Soumahoro a Roma, nel corso della protesta in occasione degli Stati generali dell’economia, e poi nell’incontro col premier Conte. Due rappresentazioni ben diverse. E anche l’ennesimo invito al dialogo e alla col- laborazione è stato totalmente ignorato. Ma giovedì non c’è stata l’opposizione violenta delle settimane precedenti, che ha obbligato anche i medici di Intersos ad abbandonare la preziosissima presenza quotidiana al “Gran ghetto”. «Appena i ragazzi ci hanno visto sono venuti da noi – racconta Serena –. In più di trenta hanno partecipato alla scuola di italiano, mentre una decina è venuta per regolarizzazione e residenza. Sono stati molto contenti di vederci. E noi continuremo ad andare perché ce lo chiedono e perché è per loro che lo facciamo ». E questo rende ancora più incomprensibile il comportamento dei militanti di un sindacato come l’Usb. Anche se molto critico nei confronti del provvedimento di regolarizzazione. «Molti lavoratori sono venuti per capire come mai non possano accedere all’emersione – spiega Iacovelli –. E noi cerchiamo di vedere con loro come trovare delle soluzioni».


Dopo le minacce dei giorni scorsi da parte di un gruppo di facinorosi (tra cui alcuni militanti del sindacato Usb) riprendono, anche se sotto scorta, le lezioni e le consulenze dello sportello informativo ai lavoratori stranieri: «Hanno bisogno di capire come presentare le domande»

Un servizio prezioso. Eppure, denuncia il sindacalista, «anche questa volta chi è venuto da noi e dalla Caritas è stato avvicinato dicendo che non doveva più venire. Neanche alla scuola». Non si stupisce Domenico Lamarca, di Baobab. «Due giovedì fa hanno fatto irruzione durante le lezioni dicendo 'a noi non importa imparare l’italiano'. Ma il nostro obiettivo è di non tenerli più qui nel ghetto. Li vogliamo far uscire. E per questo la conoscenza dell’italiano è fondamentale. Siamo qui anche per una sola persona e ne abbiamo avute trenta. Ma l’importante è la continuità. Per questo le minacce ci fanno male. Perché si è costruito tanto». E tanto c’è ancora da fare. Soprattutto in questi giorni. Ma restano aperti i problemi. Il container che la Regione Puglia ha assegnato alla Caritas e alle associazioni della Rete di prossimità di Capitanata, resta occupato dall’Usb, obbligando Caritas e Flai Cgil a svolgere al di fuori lo sportello informativo, con le evidenti difficoltà organizzative. «Chi ci minaccia rivendica la libertà, ma questo vuol dire anche rispettare la libertá degli altri», è il messaggio di Domenico che è particolarmente dispiaciuto che sia stata impedita addirittura l’attività ludica che avevano portato, come il calcio o la dama. «Dopo una giornata di lavoro anche loro hanno bisogno di questo. Invece ci hanno aggrediti urlando 'non abbiamo bisogno di giocare!'. Ma i ragazzi ci dicono che non è giusto». E commossa Serana ci riferisce come si sono salutati. «Ci vediamo presto, ci vediamo giovedì».

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