sabato 4 settembre 2021
Dopo cinque anni («ma è come se fossero stati trenta»), don Carmelo La Magra lascia l’isola per Racalmuto. «Il dispiacere più forte? Le vittime del naufragio del 30 giugno non recuperate
Tra arrivi ed emergenze. L'addio del parroco: «Il cuore resta qui»
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Totò Martello, sindaco di Lampedusa e Linosa, scruta il cielo nuvoloso e mormora: «C’è brutto tempo». Le condizioni meteo avverse ostacolano i viaggi della speranza e della disperazione. Qui è sempre opportuno guardarlo, il cielo, per capire cosa accadrà. Ma gli sbarchi ci sono stati e ci saranno ancora nell’isola che raccoglie storie come pesci nella rete dell’umanità. Solo una settimana fa circa in cinquecento hanno poggiato il piede sulla terraferma: erano di origini subshariane, egiziane e marocchine. Nei giorni scorsi, il viavai dei barchini, con il loro carico di fragilità, è stato incessante.

«Attualmente, abbiamo più di quattrocento persone nell’hotspot e aspettiamo a breve la nave quarantena che svuoterà la struttura – dice il sindaco Martello –. Chi continua a dire che i migranti portano il contagio del Covid compie una speculazione politica. Speriamo che si possa procedere anche per vaccinarli, dovrebbe accadere presto. Si parla giustamente dell’Afghanistan e sono il primo a dire che bisogna sostenere, a tutti i livelli, l’impegno della comunità internazionale di fronte al dramma che si sta vivendo laggiù, ma è altrettanto giusto ricordare che ci sono altri territori e Paesi nei quali vengono quotidianamente negati i diritti umani e diritti fondamentali come quello alla salute, all’istruzione, al cibo. Noi non possiamo essere lasciati soli, ecco l’appello che non mi stancherò di ripetere». Tanti giungono, qualcuno parte, come don Carmelo La Magra, 42 anni, il parroco che è diventato un simbolo e che si è congedato con un post su Facebook, annunciando l’arrivo di don Carmelo Rizzo.

Lui andrà a Racalmuto. Ora, don La Magra racconta: «Potrei fare un resoconto infinito, ho passato a Lampedusa cinque anni, ma, per l’intensità, è come se fossero stati trenta. Cosa mi porto addosso? I volti delle persone che ho incontrato, i lineamenti delle donne, degli uomini, dei bambini. Porto con me la loro fatica, la sofferenza ineluttabile, le danze gioiose per essersi salvati. Non li dimenticherò mai». Tutto è viaggio che si snoda dentro e fuori: sulle strada e nel cuore. «Non scorderò mai la mia Lampedusa – dice don Carmelo –. Il mio impegno non è certo finito. Lascio una comunità provata dal Covid. La pandemia ha intaccato dinamiche di relazione che erano molto salde ed è un’ottima scusa per rinchiudere i migranti nell’hotspot. Un dispiacere forte? Le vittime del naufragio del trenta giugno scorso non sono state ancora recuperate. Mi ferisce la motivazione: costerebbe troppo. E se lì sotto ci fossi io o se ci fosse un italiano qualunque, cosa direbbero?».

Nove corpi attendono, adagiati a circa novanta metri di profondità. Qui, per forza di cose, la speranza è un’onda che oltrepassa la disperazione. Sulla pagina Facebook di don La Magra, da circa un mese, campeggiano i sorrisi di una madre e di sua figlia. La mamma approdata in cerca di salvezza, la bimba nata nel poliambulatorio perché il miracolo di una venuta al mondo ha dribblato perfino la fretta dell’elisoccorso nel lembo di terra in cui le mamme partoriscono altrove, per mancanza di un punto nascite. La didascalia di don Carmelo ha benedetto quell’amore con parole semplici e toccanti: «Ogni tanto la vita manda all’aria gli schemi degli uomini e ti fa nascere dove non si nasce. Benvenuta al mondo piccola Maria, lampedusana di nascita come non se ne vedevano da tempo».

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