venerdì 17 aprile 2015
​Viaggiava con i genitori e una sorellina, morti nel naufragio. Lei si è salvata. E grazie all'accoglienza nella comunità Papa Giovanni XXII a Reggio Calabria, ha trovato la forza di sorridere ancora.
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Quando i soccorritori si sono accorti di lei, la piccola Helène (nome di fantasia), 12 anni, era lì da sola nel porto di Reggio Calabria, anche lei tra i sopravvissuti al naufragio. Era lunedì mattina. La notte il barcone su cui era partita dalla Libia con mamma, papà e la sorella piccola, nell’ultima tappa di un viaggio senza fine cominciato in Gambia, si era rovesciato nel buio pesto di un mare più nero del cielo. Gelo, terrore, urla, disperazione. Helène si è aggrappata a qualcosa, e dei quasi 600 che stipavano la barca solo 150 hanno fatto come lei, degli altri nemmeno più il corpo, inghiottiti dal mare. Tra questi, suo padre, sua madre, sua sorella. «Così l’abbiamo vista tutta sola nel porto, confusa, negli occhi forse l’ultima immagine dei suoi cari prima di perderli per sempre», racconta Giovanni Fortugno, referente per l’immigrazione della Comunità Papa Giovanni XXIII, nonché membro del direttivo del Coordinamento diocesano per gli Sbarchi. Non l’aveva ancora inaugurata ufficialmente, e già la struttura della Papa Giovanni XXIII per minori non accompagnati apriva le sue porte ad Helène, ma anche ad Aset, il bimbo eritreo sbarcato martedì dalla nave della Marina militare italiana su cui la notte era stato partorito. Sola al mondo Helène, nell’abbraccio di mamma e papà Aset. «Entrambi vittime del mondo che abbiamo creato – commenta Fortugno –: in pochi anni abbiamo prodotto nel mondo il triplo di profughi rispetto a tutta la seconda guerra mondiale. In Libano sono rifugiati 3 milioni e 200mila profughi su una popolazione di 4 milioni, in Iraq un milione e 700mila in gran parte cristiani, per non parlare della situazione terrificante che c’è in Libia. Ma abbiamo chiarezza di ciò che avviene nel mondo? Chi parla nei talk show, venga a guardare negli occhi questa gente, se un padre di due o tre bambini piccoli sceglie di salire su queste navi e fuggire, che terrificante esperienza avrà alle spalle?».   Il racconto di ciò che è successo quella notte sul barcone tocca a Helène stessa: «Le persone che erano sotto, al chiuso, morivano di asfissia. Quelle di sopra, prese dal panico, si sono spostate tutte da una parte ribaltando la barca, a centinaia siamo finiti tutti in acqua». Oggi i membri della Comunità Papa Giovanni cercano di restituirle gradualmente quella parvenza di normalità che sembra perduta, «facciamo qualche passeggiata, qualche partita a carte... Ieri per la prima volta abbiamo visto un sorriso, sta prendendo confidenza, ci vorrà tempo».  Il Coordinamento diocesano per gli Sbarchi di Reggio Calabria, che sotto la regia della Caritas vede l’opera di Migrantes, Papa Giovanni XXIII, Scalabriniani, Masci e altre realtà religiose e laiche insieme, lavora in sinergia con la prefettura e con tutte le altre forze in campo. «È incredibile l’impegno generoso dei nostri marinai, ma anche della Asl, della questura di Reggio, del Comune... nessuno si risparmia. Il prefetto stamattina ci ha convocati – racconta Fortugno –, ha chiesto alla diocesi di trovare posti ad ogni costo, ovunque: in questo momento ci sono dodici navi nel Canale di Sicilia che raccolgono quei disperati in fuga da guerre e persecuzioni». È quella «terza guerra mondiale ma a pezzetti» di cui parlò Papa Francesco. Ad oggi la più disumana. 
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