mercoledì 4 luglio 2018
Il 9 novembre è una giornata storica per l’Europa: crolla la «cortina di ferro». Avvenire: «La tromba di Giosuè come a Gerico»
Berlino, 9 novembre 1989: cittadini dell'Est oltre il Muro alla Porta di Brandeburgo (Fotogramma)

Berlino, 9 novembre 1989: cittadini dell'Est oltre il Muro alla Porta di Brandeburgo (Fotogramma)

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Giosuè suonò le sue trombe e le mura di Gerico crollarono. Berlino come Gerico: il 10 novembre 1989, un venerdì, Elio Maraone scomoda la Bibbia, e a ben ragione. Tutti si rendono conto di vivere un momento storico, una data che finirà negli almanacchi, la fine della guerra fredda. «Berlino, il muro è infranto» è il titolo d’apertura di Avvenire, con la cronaca di Arrigo Bongiorno e un occhiello che sottolinea la portata storica dell’evento: «Dopo 28 anni una decisione che rivela il crollo del sistema comunista».

Ma eccolo, il Maraone biblico: «Le "quattro settimane che sconvolsero il mondo" tedesco-orientale si concludono, per il momento, con un evento che, una volta tanto, non è esagerato definire di portata storica: con un provvedimento sia pure transitorio, in attesa di una riforma legislativa, in regime di Berlino Est apre di fatto i confini ai suoi cittadini. Liberi ora di recarsi in Occidente senza speciali e sofferti permessi, senza passare per la trafila dei varchi cecoslovacchi e ungheresi, senza rischiare la vita nel tentativo di superare un filo spinato». Il Muro non è ancora materialmente crollato, annota Maraone, ma è come se lo fosse: «L’urgenza collettiva alla libertà è tale che anche il cemento del Muro sembra debole rena, novello bastione di Gerico sotto l’impeto della tromba di un qualche Giosuè».

Se questo Giosuè ha un nome lo vedremo alla fine. Ora è necessario fare un passo indietro. Dovrebbe essere un passo molto lungo. Le crepe nella cortina di ferro cominciano a manifestarsi molti mesi prima, fino a consentire ai cittadini tedesco-orientali un passaggio a Ovest tramite le prime brecce ungheresi. L’8 novembre, il giorno prima del crollo, Avvenire annuncia: «Dimissioni a Berlino. Inarrestabile l’esodo verso Ovest: il governo abdica».

I carri armati russi hanno abbandonato i Paesi "amici" e Luigi Geninazzi commenta: «Scappano i cittadini, saltano i governanti. Mentre continua la grande fuga all’Ovest, ieri a Berlino Est ha dato le dimissioni in blocco l’intero governo. La Germania comunista sembra vivere una situazione pre-rivoluzionaria». Ed ecco le «piccole Trabant che a migliaia vanno a confondersi nel traffico bavarese delle Mercedes, creano un grande ingorgo nel cuore dell’Europa che con il muro di Berlino teme già di veder crollare le proprie certezze». Già, che cosa accadrà adesso? Il cancelliere occidentale Kohl non ha atteso neppure il primo colpo di piccone per dire come la pensa: la Germania sarà una. Il giorno del crollo è in visita a Varsavia ed è l’unico ottimista a oltranza.

Avvenire, quel fatale 10 novembre, a pagina 3 riporta il coro degli scettici: «"Una" Germania, tutti i dubbi della Cee. I Dodici temono che Bonn perda di vista l’appuntamento del ’92. Preoccupazioni a Bruxelles e negli Usa». Kohl, lui solo spinge da subito. Alla vigilia del repentino squillo di trombe di Giosuè, in partenza per la Polonia, il cancelliere (Avvenire, 9 novembre, pagina 7), egli stesso profugo da oriente nel 1956, «ripropone senza mezzi termini la questione della riunificazione: ha affermato che Bonn si atterrà al principio costituzionale "dell’esercizio del diritto di autodeterminazione di tutti i tedeschi" e si è detto convinto che la popolazione della Ddr sceglierà "la libertà e la riunificazione tedesca" se posta in condizione di optare».

Avvenire intanto ha il suo inviato a Berlino sulla breccia ancora calda: «Ubriachi di gioia e di birra – scrive Luigi Geninazzi l’11 novembre – più di cinquantamila tedeschi dell’Est hanno approfittato dell’apertura dei posti di confine per passare a Berlino Ovest, e quindi rientrare in patria, felici di essersi potuti affacciare, per la prima volta senza ostacoli, nel mondo libero». Il commento è affidato a un fin troppo ottimista Gianfranco Morra (titolo: «Chi ha aperto quella breccia»), che non ha dubbi sul ruolo decisivo della religione nel crollo del sistema comunista e nel suo simbolo di cemento, il Muro: «Chi pensava alla religione come a un fatto privato o come a una sorta di assicurazione per l’aldilà dovrà ricredersi. La lezione dell’Est all’Occidente troppo edonista consiste in questa dimostrazione della capacità della religione di combattere il totalitarismo e di unire gli oppressi nella lotta per la libertà». Stessa pagina, pochi centimetri più in basso, Luigi Roth (titolo: «Contro la tentazione di nuovi "colonialismi"») avanza invece alcuni timori su chi, o che cosa, potrebbe insinuarsi nella breccia. Il capitalismo sarà incontrollato colonizzatore o, come auspica Roth, l’Est vedrà l’avvento di una virtuosa «economia mista»?

Nei giorni successivi si parla di Bulgaria, Geninazzi intervista lo storico Ernst Nolte, Kohl annuncia un vertice con il premier orientale Krenz. E Giosuè? Adesso possiamo rivelare a chi pensasse Maraone il 10 novembre. Non cercatelo soltanto in Germania, colui che ha suonato le trombe: «Potremmo cercarlo in Polonia o, per essere più espliciti, sul soglio di Pietro».

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