mercoledì 26 settembre 2018
La quarta banca d'affari Usa annuncia il crac trascinando le Borse di tutto il mondo. Per Avvenire «è un altro 11 settembre»
Il 15 settembre i dipendenti di Lehman Brothers lasciano gli uffici con gli scatoloni (Ansa)

Il 15 settembre i dipendenti di Lehman Brothers lasciano gli uffici con gli scatoloni (Ansa)

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Quando accade ciò che «non poteva accadere» e la banca Lehman Brothers salta in aria, il mondo sembra provare due sentimenti prevalenti: stupore e panico. Stupore: possibile? Un simile colosso? Panico: e adesso? Toccherà a qualcun altro? È un episodio grave ma circoscritto oppure... Il 16 settembre 2008 Avvenire in prima pagina riporta la notizia in un titolo di taglio. Una scelta obbligata: Benedetto XVI è in pellegrinaggio a Lourdes, un viaggio bello e difficile, l’apertura spetta a lui. Titolo asciutto, dunque: «Il crollo della Lehman Brothers travolge le Borse del mondo. Bankitalia assicura: per noi i rischi sono limitati». La parola d’ordine è: calma e sangue freddo. Il giorno dopo, il 17 settembre, lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, dichiara (frase riportata da Marco Girardo): «Alla fine di questa turbolenza, l’Italia sarà più forte di prima e più forte degli altri». Tremonti deve accorgersi da sé di aver esagerato e il 18 settembre corregge il tiro: «La crisi può aggravarsi» (pagina 6). Semplice turbolenza? Il 16 settembre, con il cadavere di Lehman ancora caldo, Girardo intervista Andrea Viganò, responsabile di BlackRock per il Sud Europa. L’analista scuote il capo: «Non è facile stabilire se la crisi attuale sia conclusa». Ma il titolo non lascia margine alle sfumature: «Siamo in mezzo a una tempesta (quasi) perfetta». Una tempesta, non una turbolenza.

Una tempesta che ci lascia, dieci anni dopo, ancora senza fiato. Ma chi poteva prevederlo allora? Beh, sia detto senza piaggeria, Avvenire l’aveva detto eccome. La crisi è gravissima, una di quelle crisi dopo le quali nulla sarà come prima. Il 17 settembre il titolo dell’editoriale di Giorgio Ferrari («Il crac della Lehman Brothers è un altro 11 settembre») è la sintesi impietosa di un’analisi impietosissima: sta crollando tutto, altro che turbolenza passeggera. «Ciò che appare ancora senza limiti – scrive Ferrari – è la deriva che la follia finanziaria eruttata dalla bolla dei mutui americani sta prendendo. Chi può dire che il tracollo della quarta banca d’affari americana sia l’ultimo della serie, che i rovesci siano finiti, la tempesta placata e si potrà continuare a rimettere ordine nel sistema finanziario mondiale? Nessuno (...). È una specie di 11 settembre, dicono a Wall Street. E anche per questa tragedia nessuno può dire quando la reazione a catena sarà davvero terminata». Lo stesso giorno Girardo riporta le parole di Mario Draghi, governatore di Bankitalia: «È una crisi tra le più gravi e complesse dei nostri tempi».

Avvenire dunque prevede che siamo appena all’inizio di una reazione a catena. Facile dirlo dopo il crac di Lehman, forse. Ma era da parecchio tempo che Avvenire lanciava l’allarme. Ad esempio il 16 marzo, in occasione del collasso di una piccola banca d’affari, Bear Stearns, Ferrari avvertiva: «In una società globalizzata dove la finanza sopravanza l’industria manifatturiera e dove l’economia di carta (o digitale) muove più risorse di quella reale, il rischio di precipitare in una crisi come quella del 1929 è molto più vicino di quanto non si possa pensare».

Ce l’aspettavamo, dunque. E non restiamo sorpresi dai titoli dei giorni successivi. Dal 18 settembre: «Il salvataggio pubblico di Aig non rassicura i mercati. Vacillano Morgan Stanley e Goldman Sachs. Crisi senza argini, Borse in ginocchio». Al 30 settembre: «Bufera su banche e mercati. L’uragano subprime fa le prime vittime in Europa». La lieve turbolenza si rivela per ciò che è, un uragano.

Siamo a una nuova grande depressione? Alcune analogie ci sono e il 19 settembre è Giancarlo Galli ha metterle in evidenza: «Esattamente come ottant’anni fa (1929-1933) è l’intero "sistema" ad avere ceduto. Trascinando nel gorgo, quasi un buco nero galattico, un modello capitalistico avido e autoreferenziale costruito da quelle grandi banche che con smisurato orgoglio pretendevano di avere trovato la pietra filosofale dello sviluppo ininterrotto (...). Il dramma è mondiale; e l’Italia non è indenne».

Il 7 ottobre il titolo in prima pagina è da brividi: «Borsa, il gioco è finito. Lunedì nerissimo su tutte le piazze. Milano: -8,24%». E Avvenire cosa fa? Affida il commento in seconda pagina a un teologo, Pierangelo Sequeri, che parla (titolo) della «friabilità del denaro»: «Il denaro ha una sua intrinseca voracità. A un certo punto, sviluppa l’insana tendenza a mangiare se stesso, per nutrirsi e moltiplicarsi più rapidamente. Una tale voracità, che si sa benissimo essere contro natura, finisce per aprire un buco nel suo stesso stomaco». Il commento, e questo articolo, terminano con una domanda (retorica): «Abbiamo fatto i conti con gli assoluti messianici del "socialismo reale", valutando le contraddizioni devastanti delle sue parole d’ordine. Non sarà forse il momento di fare seriamente "le bucce" al racconto fondatore di un certo "liberismo economico", che ha cercato di accreditarsi come unica via di salvezza per una civiltà di liberi e uguali?».

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