sabato 1 ottobre 2022
Il dossier dell'Autorità garante per l'infanzia: oltre la metà tra i 14 e i 17 anni. Immotivate le differenze tra regioni negli interventi e nei controlli. Parla la Garante Carla Garlatti
23mila minori in comunità: i numeri (e le ombre) dell'accoglienza

Ansa

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Costretti a vivere lontano dai propri genitori e dalla propria famiglia. Privati dagli affetti più cari, sradicati, confusi. Non c’è sofferenza più grande per un bambino ma anche per un ragazzo adolescente. Tanto più quando la lontananza non è determinata da cause materiali, povertà, impedimenti concreti ma dalla disgregazione familiare, dal fallimento di un progetto educativo o, peggio, da maltrattamenti e abusi.

Per queste e per tante altre ragioni in Italia ci sono 23.122 bambini e ragazzi che vivono fuori dalla propria famiglia e sono ospiti di 3.605 comunità. Il dato, che si riferisce al 31 dicembre 2020 e fa parte della quarta raccolta dati sperimentale elaborata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, intitolata "La tutela dei minorenni in comunità", è stato ottenuto grazie ai rapporti forniti dalle Procure minorili. In Italia sono 29, ma non tutte hanno aderito (Ancona e Catania), mentre altre si sono limitate a compilare solo una parte del questionario diffuso. Il quadro rimane comunque molto significativo e permette di fare luce su una realtà complessa, dove le ombre sembrano oscurare le luci, problemi irrisolti di coordinamento tra i vari protagonisti del sistema di tutela dei minori, differenza profonde tra le diverse procure non solo in termini di risorse e mezzi, ma anche per quanto riguarda i criteri di intervento. A dimostrazione – come è evidente anche dalla contestata riforma del diritto minorile in fase di decollo – che è sempre mancata nel nostro Paese la capacità di uno sguardo d’insieme sul problema. E manca tuttora.

I numeri dell’accoglienza
Dei 23.122 bambini e ragazzi fuori famiglia alla fine del 2020, oltre 20mila sono minorenni, di cui 5.282 minori stranieri non accompagnati e 15.095 italiani. Ci sono poi 2.745 ospiti neomaggiorenni a cui la legge permette di rimanere nelle strutture fino a 21 anni, quando non ci sono per loro alternative adeguate, né familiari né di altro genere. Oltre la metà (55%) ha tra i 14 e i 17 anni. Nel 26% dei casi la permanenza è di circa due anni, ma con variabili notevoli tra regione e regione. Occorre dire che ai numeri presentati dal nuovo dossier vanno aggiunti i circa 14mila minori che non vivono in comunità ma in affido familiare. Si tratta soltanto di una stima perché la gestione di questi ragazzi dipende dai Servizi sociali dei vari Comuni e quindi sfugge alle Procure minorili. Tornando al documento dell’Autorità garante, altro dato interessante è quello che analizza il numero medio di ospiti per struttura, che è di 6,4 ma con differenze profonde da una procura all’altra. Si va dai 21,5 di Campobasso, a causa forse di una concentrazione episodica di minori stranieri non accompagnati, ai 2,2 di Perugia. E anche qui gli interrogativi sarebbero tanti.

Perché sono in comunità?
Per la prima volta il rilevamento dell’Autorità garante indaga anche sulle ragioni che hanno portato bambini e ragazzi in comunità. Nel 78% dei casi il collocamento è stato disposto dall’autorità giudiziaria; nel 12% con il consenso dei genitori e nel 10% con allontanamento d’urgenza secondo l’articolo 43. Anche in questo caso le differenze regionali sono sorprendenti. A Salerno oltre la metà dei minori in comunità è stato allontanato con questo provvedimento (56,6%.). A Bari il 23,4, a Reggio Calabria il 18,3. In Abruzzo e in Basilicata invece non c’è stato nessun intervento d’urgenza. Significa che qui le cose funzionano sempre bene? Non è detto. Spesso la mancanza di interventi è sintomo, come quelli in eccesso, di qualche problema.

Le ispezioni
Ma come vivono i ragazzi all’interno delle comunità? Ci sono educatori con le carte in regola per assicurare vicinanza, attenzioni e qualità educativa? La legge 184 del 1983 attribuisce alle procure il compito di vigilare. Ma, in epoca di emergenza pandemica e visto gli organici sempre risicatissimi degli uffici giudiziari minorili, non c’è da stupirsi se alcune procure (Reggio Calabria, Genova) non abbiano fatto alcun controllo e tante altre si siano limitate a verifiche sporadiche, come a Perugia (2 controlli in un anno su 71 strutture), a Firenze (3 controlli su 175 strutture); Brescia (4 controlli su 117 strutture). Ma del tutto insufficienti anche i 34 controlli di Napoli (su 293 strutture) e i 32 di Torino (su 269 strutture). Brillano per efficienza Palermo (168 controlli su 207 strutture); Roma (364 controlli su 255 strutture) e soprattutto Bologna dove ci sono stati 704 controlli sulle 352 comunità presenti. Ma occorre ricordare che la procura emiliana è stata al centro del caso Bibbiano e la necessità di verificare la realtà delle strutture d’accoglienza era dettata dalle richieste delle istituzioni e dalla pressione mediatica.

Parla la Garante Carla Garlatti: «Tutela dei bambini, troppe le diversità»

L’Italia dei minori ha venti e più volti. Tanti quanto i distretti a cui fanno capo le procure minorili. Una diversità, anche profonda che interroga e fa riflettere – nella sostanziale indifferenza della politica – perché significa che ai bambini e ai ragazzi più fragili e sfortunati sono riservati trattamenti diversi in base alla provenienza geografica. Carla Garlatti, garante per l’infanzia e l’adolescenza, nel commentare i dati del nuovo dossier (2018-2020), parla diplomaticamente di «evidenti differenza tra i distretti che non è riconducibile soltanto al numero di minori stranieri non accompagnati, ma a una diversa presenza dei servizi sociali». Dove ci sono Servizi efficienti e ben attrezzati la situazione dei minori però non è comunque positiva. «A una quantità maggiore di allontanamenti non corrisponde sempre necessariamente una condizione di più grave disagio dei territori, poiché gli interventi a protezione di bambini e ragazzi dipendono da una pluralità di fattori». Diversità, complessità, ma anche un’ormai annosa incapacità di riorganizzare in modo globale tutto il sistema.

Le diversità

Quando si parla di interventi a favore di bambini e ragazzi fuori famiglia non si tratta di una valore, ma troppo spesso, di un’ingiustizia. Spiega la garante: «L’attivazione degli interventi di protezione potrebbe essere riconducibile a una più attenta e diffusa attività di monitoraggio e prevenzione a opera dei servizi». Non solo. «L’intempestiva attivazione degli interventi può, in alcuni casi, comportare un aggravamento della situazione».

Le complessità
In un clima di vasto rinnovamento sociale e istituzionale, anche per l’ormai prossima entrata in vigore della riforma Cartabia – che Carla Garlatti definisce «non priva di criticità» – sarebbe necessario che il sistema di tutela dei minori non fosse caratterizzato da forze indipendenti. I tanti attori, com’è noto, rispondono ad autorità diverse. Servizi sociali, comunità, educatori fanno capo ai Comuni e in qualche caso alle Regioni. Le forze di polizia all’autorità giudiziaria. Talvolta il coordinamento è difficile. Come risulta difficile inquadrare le varie comunità d’accoglienza che ogni regione classifica in modo diverso, rendendo quasi impossibile la comparazione. Manca anche in questo caso un protocollo nazionale che definisca titoli e funzioni. Sarebbe proprio così difficile?

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