mercoledì 7 febbraio 2018
Nelle piazze del Paese vanno in scena le speranze di una generazione. Ma anche le violenze, come a Valle Giulia In Sicilia il terremoto del Belice
Un corteo studentesco  a Milano (Foto Ansa)

Un corteo studentesco a Milano (Foto Ansa)

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Il 2 dicembre 1968 è un lunedì. A due passi dalla stazione centrale di Milano, al numero 8 di piazza Duca d’Aosta, in quella che era stata la sede del quotidiano L’Italia, testata di proprietà dell’Arcidiocesi ambrosiana, arrivano alla spicciolata giornalisti usi a frequentare quei corridoi più altri che giungono da Bologna e sembrano spaesati. È come essere al primo giorno di scuola. Infatti un primo giorno lo è, comincia un’avventura che non si sa quali esiti potrà avere, che i presenti si augurano possa articolarsi felicemente nel futuro. Già, il futuro. Futuro e avvenire non sono forse sinonimi, non identificano un’unica entità immateriale?

Nel segno di una grande apertura di credito al futuro va dunque in scena quel lunedì 2 dicembre 1968 la prima riunione di redazione di un nuovo quotidiano che si chiamerà proprio Avvenire. Presiede l’incontro che getterà le basi del lavoro comune il direttore Leonardo Valente. Sono presenti giornalisti dell’Italia e del bolognese Avvenire d’Italia, le testate che si fondono in un quotidiano cattolico unico di caratura nazionale.

Ragionando con senno di poi è facile arrivare alla conclusione che un giornale che vuole rappresentare una novità nel contesto italiano non poteva nascere che in anno di tumultuosa e tormentata effervescenza come il ’68. Anno di speranze e di violenze. Di aperture e di chiusure. Di passi avanti e di drammatici arretramenti, e si pensi solo a quel preoccupante ritorno al passato dopo tante illusioni rappresentato dall’intervento del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia per spegnere la primavera di Praga. L’invasione arriva il 21 agosto; l’Europa, distratta, si sta godendo gli ultimi scampoli di ferie.

L’Europa, si diceva. Aveva le sue gatte da pelare, l’Europa. Le proteste giovanili di una stagione passata alla storia come – appunto – “il ’68” avevano infiammato molte città, Parigi in primis, con scontri e barricate all’università di Nanterre e non solo. Era il “Maggio francese”. Si afferma spesso che in Italia il ’68 è arrivato un pochino in ritardo, ma chi lo dice dimentica i pesantissimi scontri tra studenti e polizia avvenuti a Roma, a Valle Giulia, il 1° marzo, con largo anticipo sui francesi.

Sì, fu un anno di violenza cieca, quello. Violenza politica e non solo, ovunque nel mondo. Il 4 aprile a Memphis, nel profondo sud degli Stati Uniti, viene assassinato Martin Luther King, leader antisegregazionista. Due mesi dopo, il 5 giugno, l’America dal grilletto facile uccide Robert Kennedy, che poteva contendere per i democratici la presidenza a Richard Nixon, eletto alla Casa Bianca nel novembre successivo.

Fu un anno – anche – di violenza della natura. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio la terra tremò con violenza nella Sicilia occidentale, colpita soprattutto la valle del Belice. Distruzioni e danni enormi in una dozzina di Comuni, almeno 230 le vittime, migliaia i feriti, improvvisati i soccorsi, problematica la ricostruzione seguita da decenni di polemiche.

E dire che il 1968 si era aperto con grandi speranze per il mondo e per l’umanità. Il 1° gennaio era stata celebrata per volontà di papa Paolo VI la prima Giornata mondiale della pace. L’iniziativa del Santo Padre aveva riscosso consensi generalizzati, di gran lunga superiori a quelli che incontrerà invece la sua grande enciclica Humanae vitae firmata il 25 luglio, contestata anche da settori del mondo cattolico. Muore intanto una figura cara al cuore degli italiani e non solo: Francesco Forgione, il cappuccino Padre Pio da Pietrelcina (23 settembre).

Gli eventi che hanno segnato un anno difficile scorrono in flash back nella mente dei giornalisti della prima riunione di redazione del giornale che sta per nascere. Valente indica gli obiettivi, dà la linea, formula i suggerimenti operativi, dispone l’organigramma, dopo che domenica 1° dicembre erano comparsi per l’ultima volta l’Italia e l’Avvenire d’Italia.

Il 2 e il 3 dicembre si stampano due numeri zero di Avvenire, le prove generali, la messa a punto della macchina. Tutto a posto, tutto ok. Mercoledì 4 dicembre Avvenire è finalmente in edicola, l’avventura è partita. «Giornale aperto», è il titolo dell’editoriale del direttore, che riproduciamo ampiamente qui accanto.

La testata della prima pagina è per i fatti di Avola, gli scontri tra polizia e braccianti, due morti. L’articolo firmato da Egidio Saracino è in realtà opera di Giorgio Bonelli, storico addetto stampa delle Acli nazionali. Bonelli non vuole comparire in prima persona, quindi assume come nom de plume quello di uno dei ragazzi di bottega del suo ufficio. Egidio Saracino alcuni anni dopo entrerà nella redazione del giornale.

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