martedì 27 novembre 2012
​Dalle Province allo Sviluppo: un lungo elenco di riforme potrebbe arenarsi per l'affollamento alle Camere. Restano 30 giorni di tempo utile,
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C’è una cosa che teme più di tutto Mario Monti in questi giorni. E non è il dibattito sul suo futuro in politica. Per ora i timori maggiori del premier si concentrano sul grande ingorgo che rischia di "stremare" il Parlamento in questo scorcio di fine legislatura. A esso ha fatto riferimento ieri anche il capo dello Stato, Napolitano, che ha chiesto alle Camere di evitare «passi falsi».Sono una decina circa, infatti, le riforme e i provvedimenti che rischiano di arenarsi in questo delicato "ultimo miglio". E non si tratta di misure di poco conto: potrebbero non vedere mai la luce interventi a lungo discussi, a partire dal riordino delle Province, dal decreto che taglia i costi della politica (specie delle Regioni), da quelli bis sulle semplificazioni e sullo sviluppo e dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Tutti testi ai quali Monti annette grande importanza e il cui iter assume, a questo punto, una valenza anche politica.È al Senato in particolare che si segnala, in queste ore, un sovraffollamento tale da mandare in tilt i lavori, mentre Montecitorio sta quasi ferma, in attesa più che altro che gli stessi testi tornino da Palazzo Madama: qui il tour de force è atteso alla vigilia di Natale. Si annuncia una marcia a tappe forzate, resa ancora più ostica dallo scarso tempo a disposizione: col probabile scioglimento delle Camere a metà gennaio (per votare il 10 marzo), restano una trentina di giorni effettivi per l’attività parlamentare. A meno che non si riducano le ferie di fine anno. È facile prevedere, come unica strada per condurre in porto il massimo numero possibile di leggi, una raffica di voti di fiducia che faranno impallidire l’attuale primato di 46 fiducie chieste in poco più di un anno da Monti. Inoltre, semmai gli ostacoli non fossero già sufficienti, questo ingente lavoro va concluso con il Senato già ingolfato da due "leggine" - per così dire - come il ddl di Stabilità (Palazzo Madama deve ancora avviare la sessione di bilancio, dopo che solo ieri la Camera ha completato la sua col voto finale sul ddl Bilancio) e la riforma elettorale, attesa da domani in aula. Per non dire della delega fiscale, che impegnerà l’assemblea già da oggi (ma deve tornare a Montecitorio e, quindi, è candidata al ruolo di "vittima eccellente" di fine legislatura).Il quadro delle fatiche parlamentari, dunque, è decisamente complesso e legato a tante variabili. Lo prova la giornata di ieri, con il Senato che ha fatto "saltare" la legge sulla diffamazione e ha poi fatto mancare il numero legale sul (discusso) ddl sulla Commissione costituente per ridurre il numero dei parlamentari. Un ruolo-chiave lo sta giocando la commissione Affari costituzionali, dove sono fermi 4 dei 6 decreti che si sono ammucchiati in Senato. La priorità va al "dl 174" sui costi della politica locale, il cosiddetto decreto "anti-Batman" (dalla vicenda del consigliere Pdl del Lazio, Fiorito): scade il 9 dicembre e, quindi, andrebbe approvato senza cambiamenti. Non meno grave è però lo stato del "dl 179" sulla crescita, opera del ministro Corrado Passera: deve diventare legge entro il 18 dicembre, ma non ha passato nemmeno il "primo grado" in commissione (e deve ancora andare alla Camera). C’è poi l’atteso decreto 188 sul taglio delle Province: qui c’è tempo fino al 5 gennaio. Completano l’agenda i decreti sul blocco del prelievo del 2,5% sul Tfr degli statali (scade il 29 dicembre), per rivedere i rapporti contrattuali della Società Stretto di Messina (fino al 12 gennaio) e sul pagamento dei tributi post-sisma (16 gennaio). Drammatico è l’iter delle nuove semplificazioni di Patroni Griffi (è un ddl): 40 giorni dopo il varo non sono state calendarizzate. A chiudere c’è il ddl che riforma l’Ordine dei medici: il Senato ha riscritto il testo, ma si resta in alto mare.PROVINCE - In bilico la nuova mappa geograficaIl copione si ripete: tutti i partiti dicono di volere l’abolizione delle Province, ma al dunque ogni tentativo si arena. Anche stavolta il testo che cancella 35 enti (riducendoli da 86 a 51) si è "incartato" a lungo sulla pregiudiziale di costituzionalità presentata da Pdl e Lega. Ieri ha fatto discutere poi l’annuncio, in Senato, che il termine per gli emendamenti in aula scade il 30 novembre, quando cioè il provvedimento sarà ancora all’esame della commissione Affari costituzionali. Una prassi decisamente insolita che, secondo alcuni, potrebbe preludere in realtà a un rinvio sine die della conversione del decreto. Qualcosa di più si capirà giovedì 29, quando la commissione sentirà le delegazioni di Upi, Anci e Regioni.TITOLO V Tempi lunghi per le nuove funzioniPresentato a metà ottobre come un architrave dell’assetto costituzionale immaginato dal governo "dei tecnici", questo ddl di riforma costituzionale ha molte chances di non vedere mai la luce in questa legislatura. Il testo riassegna alla legislazione esclusiva dello Stato, fra le altre, le materie dei trasporti e della navigazione, dell’energia e del commercio con l’estero. Dal varo, tuttavia, non ha mai abbandonato la commissione Affari costituzionali del Senato questa messa a punto delle competenze Stato-Regioni, a 11 anni dalla prima riforma che aveva finito con l’alimentare i conflitti di competenza.SVILUPPO Verso fusione con semplificazioniCorrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, ha messo la faccia su questi 39 articoli che contengono le misure sulle start-up e per spingere l’innovazione digitale del Paese. Dopo che la sua preparazione ha riempito le cronache per buona parte dell’estate, il decreto è stato varato a metà ottobre ma da allora non ha lasciato la commissione Industria di Palazzo Madama. Sembra scontato il ricorso, a giorni, alla fiducia. Non solo: corre voce che nel testo potrebbero confluire le norme principali del ddl-bis sulle semplificazioni, altrimenti destinate a rimanere lettera morta. Con reazioni facilmente immaginabili dalle imprese.ALTRE INCOMPIUTE Si attendono Isee e social cardQui i ritardi dipendono invece da governo e burocrazia, e non dalle Camere. Fatto sta che, atteso da maggio, non è ancora pronto il decreto con le modalità del nuovo Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente: il ministro dell’Economia, Grilli, ne aveva promesso il varo entro fine anno, ma lo schema è all’esame del Consiglio di Stato e, di fatto, il debutto dal 1° gennaio è rinviato. Idem per il regolamento sulla nuova sperimentazione della carta acquisti. Mentre da quasi un anno mancano i 3 Dpcm che devono completare la riforma dell’ex Ice (commercio estero).
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