Flotilla, il valore della vera testimonianza e tre dubbi scomodi

Se si vuole portare aiuti umanitari, i canali sono altri. Se si vuole provocare, si rischia di esacerbare la tensione. La domanda finale sulla spedizione verso Gaza è: a che pro?
October 1, 2025
Flotilla, il valore della vera testimonianza e tre dubbi scomodi
ANSA | La nave Oxygono della Flotilla viene abbordata dall'Idf
Il viaggio della Flotilla, al di là delle idee dei singoli, interroga le coscienze e solleva interrogativi su forza e senso delle iniziative che ciascuno può fare per "lasciare un segno". Anche fra due intellettuali che ci hanno affidato per questo le loro riflessioni sul tema. Qui di seguito potete leggere quelle di Davide Rondoni, qui invece quelle di Francesco Gesualdi.
Ho tre dubbi sull'azione della Flottiglia di pacifisti in viaggio verso la Palestina, al di là delle - per me indiscutibili buone intenzioni di chi vi partecipa. Dato per assodato che chiunque ora legge è come me inorridito dalle stragi in Palestina, come in Sudan e in Nigeria e altrove nel mondo, e dato per assodato che nessuno - spero - tra feste del cinema e appelli social, intenda usare il dolore altrui per farsi bello e “giusto” a basso costo, indico tre motivi di perplessità. Non nascono da dietrologia - vizio diffuso in tifoserie piene di slogan comodi e vacui da cui mi sottraggo -, ma da osservazioni realiste, scomode per me innanzitutto.
Primo. Se davvero si vuole far arrivare aiuti umanitari si usano canali sicuri per farli arrivare, non un azzardo incerto. Perché conta far del bene, non mostrare se stessi mentre si prova a farlo.
Se invece - secondo dubbio - l'intenzione, per quanto arricchita da intento umanitario, è creare una provocazione a uno dei contendenti in conflitto, allora la vicenda cambia. Si tratta di una spaventosa guerra che evidentemente non riguarda solo Israele e Palestina, basta vedere come gli “schieramenti” e le alleanze manifeste e occulte siano le stesse in altri luoghi a partire dall’Ucraina. Papa Francesco nell’indifferenza quasi generale la chiamava da anni «guerra mondiale a pezzi». E se si va a provocare un contendente, se pur ritenendolo colpevole di un massacro, si rischia di ottenere un esacerbarsi e un allargarsi del conflitto, non il suo rallentamento, figurando come azione indiretta di appoggio all'altro contendente (Hamas, Iran e loro alleati...). Il che certo non favorisce quel che sta più a cuore alle vittime dei conflitti: la tregua, il cessate il fuoco finalmente. Cosa che una flottiglia così non ottiene di sicuro.
Appare evidente, in terzo luogo, la differenza tra la posizione di chi, come i leader delle comunità cristiane di Gaza, decide di restare e non accettare l'invito all'esilio forzato fatto da Israele a un popolo che nessuno sembra voler sostenere (neanche i potentissimi “fratelli” arabi), per garantire cura e aiuto ai fragili, creando così da dentro un problema al governo israeliano, e la posizione di chi invece viene da lontano per allargare una crisi internazionale. Il primo è un atto di testimonianza, umanitario, che ha una ricaduta politica; il secondo un atto politico che impiega un aspetto umanitario. In più rischia di essere un atto a favore di dittature fino a ieri criticate (ricordate « vita donna libertà» contro i despoti iraniani ?) e di essere un atto in realtà più che contro Israele contro l'Unione Europea già abbastanza scassata su uno scenario dove America, Russia, Cina e altri stanno mostrando i muscoli e si scontrano “indirettamente” sulla pelle di tanti innocenti, in vari conflitti militari e economici.
E dunque, domando: a che pro? Forse a favore di chi odia l’Europa (che certo dopo questi “capolavori” deve cambiare, ma, come ha ricordato anche il nostro presidente Mattarella, è necessaria oggi più che mai)? Per questo, nonostante qualcuno che pensa di rappresentare tutta la cultura italiana proclami il suo appoggio alla Flottiglia, io, da poeta libero, osservo ed esprimo i miei dubbi.

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