venerdì 7 maggio 2021
Scontro sull'adozione della bozza varata dalla Camera come base del confronto. Dal centrodestra nuova proposta che integra l’articolo 61 del Codice penale e non la «legge Mancino»
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«L’introduzione di un’aggravante specifica per tutti i reati lesivi della dignità e dell’integrità della persona si sarebbe potuta ottenere intervenendo sull’articolo 61 del Codice penale». I lettori di Avvenire la ricorderanno: è la proposta che il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli formulò in un’intervista al nostro Luciano Moia il 12 novembre 2020, all’indomani dell’approvazione alla Camera con 265 sì e 193 no della "legge Zan".

Parole che hanno lasciato il segno, se è vero che proprio a quella soluzione si ispira il disegno di legge depositato ieri al Senato dal centrodestra che sostiene il governo. Con le firme di Licia Ronzulli (FI), Matteo Salvini (Lega), Paola Binetti (Udc) e Gaetano Quagliariello (Cambiamo) ai ddl già all’esame della Commissione Giustizia si è aggiunto il progetto che in tre essenziali articoli detta le «Disposizioni in materia di circostanze aggravanti nei casi di violenza commessa in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità della persona offesa», le stesse parole che si propone di inserire nell’articolo 61 del Codice penale (circostanze aggravanti comuni di qualunque reato) come 1° comma-bis.

Dunque niente più integrazione della "legge Mancino", che dal 1993 punisce violenza e discriminazione per ragioni razziali, etniche, religiose o nazionali con l’aggiunta dei «motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», come da legge Zan.

È bastato che i firmatari depositassero il testo che dal fronte che sostiene il disegno di legge partissero bordate polemiche, a cominciare da quella dello stesso deputato pd Alessandro Zan a parere del quale «il testo presentato dalla destra è un attacco alla legge Mancino», un «testo pasticciato», perché «prevedendo solo un’aggravante comune, diminuisce le tutele per i crimini d’odio razziale, etnico, religioso». In breve: «Un vergognoso insulto ai diritti in pieno stile sovranista».

È il clima nel quale viene messa ai voti la disgiunzione del ddl Zan dagli altri sul tavolo della Commissione (due di M5s, uno del Pd e uno delle Autonomie, più quello nuovo del centrodestra), con l’esito di una nuova spaccatura nella maggioranza di governo: 12 favorevoli a fronte dei 9 contrari. Questo significa che i lavori preparatori al dibattito in aula non si svolgeranno su un testo unificato a cura del relatore (il presidente della Commissione Andrea Ostellari, leghista) ma sulla "legge Zan" così com’è uscita dalla Camera. Una scelta che non chiude ovviamente la porta a modifiche al testo – sulla cui necessità convengono ormai molte voci di diversissima appartenenza – ma che è sufficiente ad avvelenare il clima della giornata. Zan twitta la notizia (la Commissione «esaminerà esclusivamente il testo approvato alla Camera») e il segretario del Pd Enrico Letta sottoscrive digitando «Avanti».

La senatrice dem Monica Cirinnà attacca il testo del centrodestra bollandolo come «inaccettabile», l’«ennesimo tentativo di ostacolare l’iter di approvazione». Ostellari replica spiegando che il nuovo testo «sposta l’ambito di applicazione della vecchia legge Mancino a una nuova aggravante che agisce a tutela di un’ampia platea di soggetti», con la precisazione che «il centrodestra non limita la libertà di espressione», riferimento a uno dei nodi del ddl Zan (il controverso articolo 4) insieme alla «Giornata nazionale» che apre la porta delle scuole, entrambi punti che non si rinvengono nel ddl Ronzulli. Quagliariello precisa che il testo che reca anche la sua firma «è chiarissimo nel perseguire qualsiasi forma di violenza: priorità che dovrebbe essere di tutti». Ma questa convergenza appare ancora lontana.

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