giovedì 3 novembre 2016
L’esperto Paolo Bazzurro, docente di scienza delle costruzioni e membro della Commissione Grandi Rischi: solo gli edifici moderni sono davvero antisismici.
Vivere con il terremoto in casa e stare (abbastanza) sicuri
COMMENTA E CONDIVIDI

Se è vero che si contano duecentomila case danneggiate, nelle regioni colpite dal terremoto ve ne sono ancor di più che devono difendersi da nuove scosse. Vecchie case padronali sopravvissute a due regni e una repubblica, cascine millenarie che si sono adattate prima alla fine dell’agricoltura e poi a una società di pensionati e migranti, condomini venuti su nel Dopoguerra, sorretti dall’illusione che il cemento armato fosse eterno. Abbiamo chiesto a Paolo Bazzurro, ordinario di scienza delle costruzioni e rischio sismico allo Iuss di Pavia e membro della Commissione Grandi Rischi, come si difende questo patrimonio immobiliare e chi lo abita.

Ormai sull’Appennino si vive in una condizione di terremoto permanente. Come ci si protegge?
Lo sciame sismico finirà ma il rischio sismico rimarrà, a meno che non si cominci ad agire. La casa è il bene più importante di una famiglia e prevenirne il danno o, addirittura, il rischio di morirvi per un crollo dovrebbe essere la preoccupazione principale per chiunque. Invece, non viene fatto. Il motivo è che la percezione del rischio negli italiani non è sviluppata e la conoscenza del livello di rischio è scarsa, per cui non si tramuta in decisioni. Infine, i contributi statali dopo i terremoti non incentivano un ciclo virtuoso in cui i privati mitighino il rischio della propria abitazione.

Posso sapere se la mia casa reggerà una magnitudo sei?
Non è semplice, perché non dipende solo dalla struttura, ma anche dal suolo e da altre variabili; inoltre, non è la magnitudo che fa collassare gli edifici ma lo scuotimento generato dal terremoto, quindi dobbiamo parlare di livelli di scuotimento, indipendentemente dal fatto che siano causati da un terremoto di M5 molto vicino o da un terremoto di M7 lontano... In generale, edifici in cemento armato degli anni 50-6070 e edifici in muratura – specialmente se fatti di pietre non squadrate tenute assieme da malte povere, con asimmetrie in pianta ed elevazione e con poche o nessuna catena – sono tipi di edifici che hanno livelli di sicurezza minori degli edifici moderni progettati secondo le norme attuali. Negli edifici in cemento armato di quegli anni e a maggior ragione in quelli in muratura, inoltre, è importante il discorso della manutenzione. Giunti in cemento armato con armature esposte e corrose dal tempo e edifici con murature fatiscenti sono più vulnerabili.

Se l’edificio è in muratura, cosa devo controllare?
Qualità e posa in opera della pietra con cui sono costruiti, ammorsature degli angoli dei muri perimetrali, collegamento dei solai con gli elementi verticali, presenza di catene, struttura del tetto per vedere se spingente o meno, qualità della manutenzione, presenza di camini che interrompano la continuità dei maschi murari, presenza di aperture nei muri portanti introdotte in epoche più recenti durante le ristrutturazioni...

Se invece l’immobile è di cemento armato?
Quelli moderni, se progettati senza errori e costruiti senza errori, hanno margini di sicurezza più che accettabili. Edifici del Dopoguerra, possono avere margini insufficienti, se la progettazione è avvenuta senza riguardo alle forze orizzontali normalmente causate da un sisma e il paradigma di progettazione, che consentiva pilastri di dimensioni ridotte e travi più rigide, è obsoleto, oppure i dettagli delle armature sono insufficienti a mantenere l’integrità delle colonne quando sono sollecitate da forze assiali… Questa era purtroppo la norma e non l’eccezione in quegli anni.

Cosa cambia se l’immobile è antico?
Edifici in muratura vecchi di secoli, magari eseguiti a regola d’arte, con pietre squadrate e muri ben ammorsati, con aperture piccole e muri di ampie dimensioni, possono avere margini di sicurezza sismica apprezzabili.

Per stare al sicuro, a chi mi affido e quanto mi costa?
La scelta più importante è mettersi in mano a un ingegnere che abbia avuto un’istruzione specifica in ingegneria sismica e abbia comprovata esperienza. La seconda scelta importante è ovviamente quella dell’impresa edile che eseguirà i lavori, la cui esperienza specifica è importante. Riguardo ai costi si varia da caso a caso, ma di solito si va dai 100 ai 300 euro a metro quadrato. Molto meno, ovviamente, se gli interventi di miglioramento sono localizzati.

È realistico un programma nazionale di messa in sicurezza del patrimonio abitativo?
Se per messa in sicurezza si intende l’adeguamento sismico ai livelli di sicurezza che hanno gli edifici di nuova progettazione, certamente no. Se parliamo di miglioramento sismico per ridurre la vulnerabilità ed evitare che scosse 'normali' li facciano crollare, sì. Si deve però entrare nell’ordine di idee che il rischio non lo si elimina ma lo si riduce. Gli abitanti di alcune case fatte in muratura o in cemento armato negli anni 50-70 in molte zone d’Italia dove la pericolosità sismica è elevata vivranno in edifici che hanno margini di sicurezza bassi e questa deve essere una scelta consapevole. Il punto focale è che il rischio di tutti questi edifici non deve essere inferiore ad un livello considerato accettabile. Quale sia questo livello è una scelta politica e non tecnica. Ma si ricordi una cosa: non si potrà mai eliminare il rischio sismico, perché non ce lo possiamo permettere.

Come valuta la decisione di finanziare la ricostruzione delle seconde case?
Non sono d’accordo. La strategia del governo e di quelli precedenti è assistenzialista e ancorata al passato. Non trovo giusto che il cittadino medio paghi tramite tasse ed accise quando esisterebbero strumenti assicurativi e finanziari che potrebbero ridurre questi oneri.

Perché non è stata introdotta l’assicurazione obbligatoria?
Politicamente, è quello che gli americani chiamano 'third rail', il binario elettrificato delle metropolitane. Chi lo tocca muore. Molto più semplice far pagare le accise sulla benzina piuttosto che promuovere, richiedere e magari sovvenzionare una assicurazione a scala nazionale. Eppure, i danni economici verrebbero diffusi su tutta la comunità assicurativa mondiale e si ricostruirebbe più velocemente. In Cile, uno Stato molto avanzato in tema di conoscenza del rischio sismico e prevenzione, circa il 70% dei danni economici del terremoto M8.8 del 2010 sono stati pagati così.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: