sabato 9 febbraio 2019
Continua il viaggio di “Avvenire” nelle notti della prostituzione. Dopo Roma e Bologna, ecco Piacenza. Le storie di Donata, Mira e le altre ragazze, ricattate dalle “madame” e costrette ad aborti
Vite in vendita sulla via Emilia. «Signore, toglici dalla strada»
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«Do something new in my life, oh Lord» . «Signore, crea qualcosa di nuovo nella mia vita». La voce, mentre canta, è cristallina. Ti penetra dentro le ossa, come questo freddo di fine gennaio che non bastano giaccone, cuffia e sciarpa a contenere. Sono le dieci di sera passate. Il suo nome, in italiano, sarebbe Donata. Ha 24 anni. In Nigeria ha lasciato i genitori e due fratelli piccoli. Ci racconta di aver vissuto a Torino, di avere i documenti e aver fatto dei corsi di italiano. «Curriculum, curriculum, curriculum – scandisce, muovendo le braccia su e giù –. Ma lavoro niente».

Ora abita a Cremona. «Duecento euro per stanza, devo mangiare, pagare bollette. Così eccomi qui». Siamo usciti con l’Unità di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII di Piacenza. I volontari parlano, in certi periodi, perfino di 150 ragazze in strada, nella periferia sud tra via Colombo, via Emilia Parmense, polo logistico e Caorsana, suddivise per nazionalità: albanesi, rumene, nigeriane e viados brasiliani. Piacenza, crocevia di merci, per posizione è l’ideale anche per questo tipo di mercato. «Dove c’è richiesta, c’è offerta. E la richiesta è altissima», non nasconde il questore Pietro Ostuni, che riduce però le presenze ad una cinquantina al massimo. La quantificazione – avvisa – può essere solo approssimativa. Indefinibile il sommerso nelle case, dietro gli annunci più disparati.

La polizia riscontra nel Piacentino una prostituzione dell’Est più autodeterminata, ancorata al “pizzo del marciapiede” o alla gestione degli appartamenti dove vivono le donne, mentre lo sfruttamento più invasivo è quello nigeriano, con il sistema della “madame”, del debito (fino a 25mila euro) e dei riti vudù. «Sono queste le più vulnerabili, perché non hanno strumenti per far sentire la loro voce – osserva Serena Pieri, dirigente della Squadra Mobile –. Ma sono anche le più determinate ad affrancarsi». «Hanno bisogno di fidarsi ed affidarsi: il lavoro delle associazioni per noi è prezioso », rimarca il Questore. Che però non sottace il nodo da sciogliere: «I clienti non sono soltanto persone di passaggio. La città deve riflettere». L’invito arriva alla vigilia della fiaccolata contro la tratta che oggi vedrà uniti diocesi, chiesa evangelicometodista, comunità islamica, Comune e Cisl. L’input per la prima edizione – nel 2013 – è arrivato da una donna albanese, con marito e figlia nel suo Paese.

«Era incinta, ci sono clienti che ricercano anche questo – spiega Romina Iurato dell’unità di strada –. Abbiamo fatto di tutto per aiutarla. Già seduta sul pulmino, ha ricevuto una telefonata: 'Non posso', ed è scesa. L’abbiamo rivista in strada. Non aveva più la pancia. 'Guardate': sul cellulare aveva la foto di un feto sul pavimento, abortito, non sappiamo se per le percosse...». Mira (questo e gli altri nomi sono di fantasia) ha 28 anni e una figlia di 13. «Sei andata a trovarla per le feste?». «No, appena posso parto». «Lei non viene mai?». «No, no. Meglio se vado io», sorride, nervosa. Ad accompagnare Livia tutte le sere in postazione è il fidanzato che – testuali parole – «mi ama tanto». Con Stella c’è confidenza.

«Una sera ci ha chiesto di accompagnarla a casa. Era il suo compleanno: ci ha mostrato i regali che le avevano fatto i clienti: 'Vedete come mi vogliono bene!'. Queste ragazze hanno bisogno di sentirsi amate. Così sono schiave due volte». Julia all’accenno di cambiare vita si smarca. «Io qui ci sto solo un anno. Garantito». Parole già sentite. I volontari temono che la rivedranno oltre il 2019, alla solita piazzola.

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