mercoledì 15 luglio 2020
Estendere alle persone fisiche il Fondo di solidarietà previsto per le imprese. Nonostante le numerose interlocuzioni le istituzioni non hanno mai raccolto l’appello a intervenir
La Consulta nazionale: «Usura, aiuti subito alle famiglie»
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I danni provocati dalla «pandemia sociale» paventata da Papa Francesco trovano nel ricorso agli usurai l’indicatore più evidente e, nonostante non siano ancora disponibili dati certi, gli indizi non prefigurano nulla di buono. Ora la sfida è sempre più quella di dare un sostegno diretto alle famiglie, in prima linea contro l’emergenza sociale e spesso abbandonate dallo Stato. «Nei primi mesi di lockdown la Consulta nazionale antiusura Giovanni Paolo II è stata tra i primi a lanciare l’allarme – ha denunciato il presidente dell’associazione, monsignor Alberto D’Urso, durante l’audizione alla commissione parlamentare Antimafia il 24 giugno scorso –. Una marea di gente che di colpo si è trovata senza il minimo per vivere, tentata di mettere in discussione lo stesso scopo della vita».

Cosa prevede la legge Secondo l’associazione sono 7.708 le persone che si sono rivolte nel 2018 alle fondazioni antiusura e 849 le pratiche finanziate con fondi pubblici (per un totale di oltre 19 milioni di euro). Mentre la relazione annuale delle attività 2019 del Comitato nazionale antiracket e antiusura riporta 2.179 posizioni esaminate di cui 721 per estorsioni e 1.453 per usura. Solo nei primi tre mesi del 2020 l’incremento del reato è stato del 9,6% e la Coldiretti ha contato oltre 5mila ristoranti finiti in mano alle cosche durante il lockdown. Un virus ancora privo di un vaccino efficace, visto che la legge antiusura in vigore, la 108 del 1996, non prevede soldi per le vittime, a meno che non si tratti di soggetti che esercitano attività imprenditoriale.

L’articolo 14 del testo stabilisce infatti l’istituzione di un Fondo di solidarietà per le vittime presso l’ufficio del Commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket. Tale fondo, però, non prevede l’erogazione di risorse dirette, ma di un mutuo «senza interesse» della durata «non superiore al quinquennio» e destinato esclusivamente a «titolari di attività commerciale che dichiarino di essere vittime del delitto di usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale». Condizioni che l’associazione ritiene inadeguate per via dell’evidente discriminazione nei confronti di una platea amplissima. In buona sostanza, è come se si desse per scontato che disoccupati, lavoratori dipendenti in difficoltà, casalinghe e via dicendo siano immuni, o meno a rischio, rispetto al fenomeno. Una circostanza smentita dalle recenti inchieste di Avvenire, che raccontano invece di padri indebitati dopo aver chiesto in pre- stito il denaro necessario per curare le loro figlie o di figli dati in pegno per pagare i debiti.

Un sostegno solo a metà Il punto non sono solo soltanto i requisiti di accesso, perché quando un imprenditore è irretito dagli usurai non ne soffre soltanto la sua attività e il fatto che si tratti di un mutuo agevolato pensato per restituire le imprese a un’economia legale (piuttosto che di risorse a fondo perduto per le necessità delle famiglie di chi quelle aziende le porta avanti), appare una contraddizione. Non l’unica, tra l’altro, perché la stessa legge ha istituito anche un altro fondo, quello per la «Prevenzione del fenomeno dell’usura», con lo scopo di prestare garanzie alle banche per la concessione di finanziamenti a soggetti che incontrano difficoltà di accesso al credito (art. 15).

Da una parte, quindi, si interviene (a reato già avvenuto) solo a favore delle imprese, mentre dall’altra si previene il ricor- so al prestito usurario sostenendo finanziariamente i soggetti indebitati, siano essi indifferentemente esercenti attività economiche o persone fisiche, lavoratori dipendenti o pensionati. «Lo Stato sostiene le famiglie e le imprese nella prevenzione all’usura, ma esclude le prime dalla solidarietà ingenerando una evidente disparità di trattamento che non può non sollevare dubbi di costituzionalità sull’aritcolo 14 della legge 108/96 – si legge ancora nella relazione di monsignor D’Urso –. La Consulta nazionale antiusura, nel corso di audizioni, prima presso la commissione Giustizia del Senato, e poi presso la commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha inteso proporre, con l’ausilio di un parere di illustri costituzionalisti, una modifica alla legge». Al momento però non ci sono segnali di una volontà politica che vada in questa direzione.

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