martedì 16 novembre 2021
L'attore dialoga con gli studenti di medicina e infermieristica a partire dal libro "Turno di notte" in cui racconta la sua esperienza in corsia per 11 anni. «Nostro ruolo è accompagnare i pazienti»
Un turno al "Gemelli" per l'infermiere Giacomo Poretti

Ufficio stampa Università Cattolica

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Il senso di essere infermiere, il suo rapporto con i medici e soprattutto con i pazienti, il ritorno ai valori fondanti la professione con la cura della persona al centro. Sono stati questi i temi del dialogo ieri tra lo scrittore Giacomo Poretti e gli studenti del corso di laurea in Infermieristica del campus di Roma e della facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Cattolica, nell'aula Vito del Gemelli . Nel suo libro "Turno di notte - Storia tragicomica di un infermiere che avrebbe voluto fare altro" (edito da Mondadori), Poretti ripercorre parte della sua vita in corsia (è stato undici anni infermiere nell'ospedale di Legnano) con ironia ed emozione. Ma ieri, dopo i saluti del preside della Facoltà di Medicina Rocco Bellantone e del responsabile del corso di laurea in Infermieristica Stefano Margaritora, è salito in cattedra per rispondere alle domande degli studenti.

Ufficio stampa Università Cattolica

«La vita in corsia è molto seria, spesso preoccupante; in reparto non c'è troppo spazio per ironia e autoironia: molte situazioni sono difficili da raccontare – racconta Poretti –. Come il turno di notte dell'infermiere, per esempio, con la preoccupazione costante che succeda qualcosa di difficile da affrontare». Come il medico, l'infermiere «vive il concetto di "umiliazione"; un passaggio necessario per acquisire l'umiltà nel rapporto con il malato». E a quello studente che gli chiede un consiglio per la sua futura professione, l'attore risponde: «Un bravo infermiere è quello che riesce a tenere "compagnia alla vergogna", nei momenti più difficili che vive nel letto di ospedale la persona malata».

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