sabato 22 settembre 2018
I primati della comunicazione e delle tecnocrazie possono mettere all'angolo una politica debole
Casalino, un ruolo eccessivo che desta sospetti
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In tempo di manovra economica, mai sono mancate le accuse al "Tesoro cattivo" che taglia con le forbici la lista della spesa fatta dai politici che "vogliono aiutare il popolo". È un cliché multipartisan. Così come è un cliché l’utilizzo di avvisi a mezzo stampa per lanciare messaggi ai vertici di altre istituzioni, agli alleati di governo, a ministri recalcitranti, alle correnti interne o alle opposizioni. E, parlando con schiettezza, nemmeno il ricorso a parolacce, offese e insulti, per quanto esecrabile, rappresenta il "fatto nuovo" del caso innescatosi con l’audiomessaggio del portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino. Così come non ci sono misteri circa il ruolo di "freno" svolto da funzionari di lunghissimo corso che conoscono i Palazzi meglio dei governanti.

Il "fatto nuovo", semmai, è lo svelamento di qualcosa che è già noto da tempo ma che ieri è emerso con prepotenza e senza veli: il ruolo assolutamente centrale, dirimente e irrinunciabile - più importante del ruolo degli stessi interpreti politici e istituzionali? - degli "uomini comunicazione" dentro il governo gialloverde e in particolare dentro la componente M5s. Nessuno era così ingenuo da considerare Casalino un portavoce "ordinario" o un grigio interprete e traduttore degli atti del premier e del governo, ma la vicenda dell’audio contro i tecnici del Mef ripropone nuovamente, sotto diverse forme, il tema del cortocircuito (e del conflitto d’interesse) tra potere politico e controllo dell’informazione. Il portavoce, uomo di assoluta fiducia di un’azienda privata di comunicazione digitale, la Casaleggio & associati, detta la linea politica in prima persona. A meno che il premier Conte, che ieri ha difeso Casalino "da giurista" senza però «entrare nel merito», non riveli di aver dettato lui stesso parole così pesanti contro la catena di comando "tecnica" del ministero dell’Economia. Né il premier né il capo politico M5s Luigi Di Maio si sono intestati apertamente la minaccia della «megavendetta» con i «coltelli» contro i tecnocrati che vorrebbero «bloccare il cambiamento». Hanno ribadito la battaglia ai «mandarini», ma l’audio di Casalino è stato derubricato a «sfogo privato».

Ciò nonostante, nonostante cioè non la critica legittima e ragionata, ma l’attacco furioso alla credibilità della struttura che fa funzionare il ministero tenuto a vendere il debito pubblico sui mercati interni e internazionali (per fortuna tutto si è svolto a listini chiusi), non hanno chiesto un passo indietro del portavoce, e ciò basta a dimostrarne l’intangibilità dentro il mondo 5s e dentro l’esecutivo pentaleghista.
Può anche avere seri motivi, Casalino, per sospettare eventuali "macchinazioni giornalistiche" che abbiano portato la sua "audiovelina" dallo smartphone di due giornalisti di una testata on line alle pagine di diversi giornali nazionali. Un sospetto che può legittimamente avanzare. Ma, almeno per il caso sollevatosi ieri, sono più le risposte che il portavoce e il governo devono dare rispetto a quelle che hanno il diritto di chiedere. In particolare, rispondere al sospetto che l’attacco stizzito ai «tecnici», portato attraverso la macchina della comunicazione e non attraverso gli atti politici, sia il sintomo di una doppia debolezza.

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