lunedì 4 settembre 2017
Dopo la festa del Santuario, lasciate delle immaginette davanti alla casa della matriarca del clan Pesce. Comitato straordinario convocato in Prefettura.
Il santuario della Madonna di Polsi (Ansa)

Il santuario della Madonna di Polsi (Ansa)

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La risposta dello Stato arriva dopo 24 ore, con un comitato straordinario convocato in prefettura. Eppure, probabilmente, non è lo Stato, questa volta, a dover fornire la risposta ad un problema sociale, culturale.

Il 3 settembre, il giorno dopo la festa, qualcuno ha lasciato delle immaginette della Madonna della montagna di Polsi davanti alla casa della 90enne Giuseppa Bonarrigo, matriarca della famiglia Pesce di Rosarno. Una sorta di augurio velato, di manifestazione di vicinanza alla madre di Antonino, Vincenzo, Rocco, Savino e Giuseppe Pesce, tutti attualmente detenuti con l’accusa di associazione mafiosa, finiti nella rete degli investigatori nell’operazione “All Inside”. La famiglia Pesce è una delle ndrine egemoni della zona: una famiglia storica che fa del controllo capillare del territorio uno dei propri punti di forza. Forse è per questo che l’anonimo distributore di santini ha lasciato i propri omaggi, poi rinvenuti dai carabinieri, anche davanti a un supermercato riconducibile alla famiglia, ormai chiuso da anni.

Persino la scelta delle immaginette non è casuale: è proprio a Polsi che si riunisce da sempre la nomenklatura della ndrangheta, in occasione della festa della Madonna. Ai piedi della statua della Vergine i “capilocale” discutono strategie criminali, equilibri e alleanze, assegnano i gradi e risolvono le controversie.

A confermare l’importanza del Santuario aspromontano nella mitologia di morte delle cosche, numerosissime testimonianze dei pentiti e poi, nel 2010, i filmati di un summit in cui i boss di tutta la provincia reggina distribuivano le “doti” agli affiliati meritevoli di far carriera nella gerarchia criminale. Quel filmato, che gli investigatori acquisirono nel corso dell’inchiesta “Crimine”, fece il giro del mondo, assieme a quello della riunione di mafia nella scuola “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano, in provincia di Milano.
La ndrangheta, insomma, ha colonizzato e occupato un Santuario oggetto della devozione popolare per quasi 400 anni.
Una perversione della religiosità, come da più parti si va ripetendo da oltre 10 anni, posizione condivisa anche dal prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari. Accanto al prefetto, al tavolo convocato nel palazzo del governo, anche il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza e quello di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, oltre ai vertici provinciali della forza dell’ordine.

Per Sferlazza, il gesto dell’ignoto «uomo delle immaginette» «non ha risvolti di responsabilità penale ma rappresenta chiaramente la penetrazione culturale, la deferenza che la ndrangheta, e questa dinastia in particolare, suscita ancora oggi». Una posizione condivisa anche da Cafiero De Raho che ha rilanciato: «Questa è una sfida allo Stato e alla cittadinanza. Gli ndranghetisti continuano a proporsi come alternativa all’autorità statale sul territorio, coinvolgendo tutti gli aspetti culturali, inclusa la fede e la devozione popolare». «Noi non ci tireremo indietro – ha concluso il procuratore distrettuale – ma continueremo a lavorare al fianco dei calabresi onesti».

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