mercoledì 26 gennaio 2022
I 'Grandi elettori' sono chiusi a scegliere il nuovo capo dello Stato, mentre fuori le tante urgenze della vita reale impongono di stringere i tempi e di evitare una crisi al buio

Ansa

Il Parlamento in seduta comune allargato ai delegati regionali si avvia oggi al terzo giorno di votazioni. E comincia a circolare, fra i 1.009 'Grandi elettori', la consapevolezza che 'tirarla per le lunghe' non farebbe altro che acuire le distanze con il Paese reale. Fuori da Montecitorio restano, incombenti col loro carico di angosce, le tante emergenze della vita reale che, agli occhi dei cittadini, cozzano con le pur doverose procedure costituzionali. C’è l’urgenza di continuare a dare risposte. Il conto del Covid, risalito ieri addirittura a 468 morti, è un monito sempre incombente. E poi, senza tralasciare le tante partite economiche, ci sono le notizie di guerra che arrivano dal fronte russo-ucraino.Tutti dossier che non ammettono tempi lunghi e che comportano una stabilità anche del governo, senza pericolose crisi al buio. E, così, la soluzione sul nuovo presidente della Repubblica potrebbe essere 'imposta' anche dagli eventi esterni.

ESTERI

Ucraina, il potenziale conflitto che c’interroga sul nostro ruolo

Più di qualcuno, forse anche per 'distrazione', lo sussurra fra i divani di Montecitorio: «Noi stiamo qua a vagliare nomi, mentre alle porte dell’Europa si avvicina un potenziale conflitto....». Il Vecchio Continente, in effetti, forse non è mai stato così vicino a una guerra, per quanto ai suoi estremi confini, dalla fine della Guerra fredda. E la crisi fra Ucraina e Russia è come un termometro per 'misurare' la collocazione di ciascun

Paese europeo nella sfera d’influenza degli Usa. Su uno scacchiere continentale curiosamente rovesciato, con parte del blocco dell’Est in rapporti migliori con Washington e l’Ovest un po’ più 'freddo', come si sta vedendo con la Germania (ma anche la Francia) che spinge di più per il dialogo con Putin.

La mancanza di un governo potrebbe farsi sentire durante questa sfida fra Russia e America che, come spiega Lucio Caracciolo, direttore di Limes, invece «ci riguarda molto da vicino» perché, «comunque vada a finire, gli equilibri geopolitici in Europa ne saranno più o meno alterati. Colpisce in tutto ciò la distrazione dell’Italia – prosegue – . Una crisi dell’Alleanza Atlantica investirebbe in profondità non solo la nostra collocazione geopolitica, ma la nostra sicurezza ed economia. L’elezione del capo dello Stato è un alibi che non giustifica la nostra latitanza».

(E. Fat.)

BOLLETTE E INFLAZIONE

Gas ed elettricità alle stelle, occorre tutelare famiglie e imprese

Inflazione a tutto gas. La ripresa post Covid ha comportato un brusco risveglio per l’economia internazionale, dove i Paesi non autonomi dal punto di vista energetico, come l’Italia, rischiano di pagare il prezzo più salato. Una delle fonti dell’instabilità dei prezzi sta infatti nell’eccezionale corsa delle quotazioni del gas e, a cascata, dell’energia elettrica. Con effetti preoccupanti sulla capacità di spesa delle famiglie e sui bilanci delle aziende grandi e piccole. Secondo Confindustria, il costo dell’energia per le imprese passerà dagli 8 miliardi del 2019 ai 37 del 2022. Con un effetto sul Pil di -0,8 punti.

Per attenuare gli efetti del caro-bollette il governo è già intervenuto 4 volte a partire dal giugno scorso, l’ultima pochi giorni fa, con un stanziamento complessivo di circa 11 miliardi. Ma è opinione comune che serviranno altri interventi a breve, e i partiti sono già in pressing per un nuovo scostamento di bilancio. Passaggio tuttavia non così banale per un Paese ad alto debito pubblico come il nostro. A dicembre in Italia l’inflazione è salita al 3,9% su base annua. In Germania gli aumenti sono già oltre il 5%. Per ora la Bce non è interevuta sui tassi di interesse ma le pressioni in tal senso potrebbero crescere mentre a fine marzo terminano gli acquisti di debito pubblico.

(N.P.)

PNRR E FISCO

Una corsa a tappe per i fondi Ue E quelle più dure devono arrivare

I quasi 25 miliardi dell’anticipo li abbiamo avuti ad agosto. E ora l’Italia attende l’erogazione della prima rata, pari ad altri 24,1 miliardi, a seguito del raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2021. Ma quella dei finanziamenti del Pnrr è una lunga corsa a tappe e le più impegnative devono ancora arrivare. Come è noto l’erogazione dei fondi è strettamente correlata e al varo delle riforme e al raggiungimento degli obiettivi concordati con Bruxelles, passaggi tutt’altro che scontati quando si tratterà di passare dalle leggi delega ai decreti attuativi e dai progetti di massima alla 'messa a terra' delle opere. Ogni mancato traguardo comporterebbe un ridimensionamento.

Quest’anno gli obiettivi sono 100, di cui 45 nel primo semestre. E ci attende un’intensa attività di tipo normativo, con nuove leggi e 28 atti diversi. In ballo nel 2022 ci sono fondi per 42 miliardi. Per il nostro Paese è anche una sfida reputazionale. Mentre si discute della riforma del patto di stabilità Ue, una corretta gestione dei fondi Pnrr potrebbe propiziare una maggiore flessibilità dei bilanci nazionali. Una delle riforme che l’Italia deve portare a compimento è quella del fisco che nell’ultima manovra ha avuto primo assaggio. La Ue attende gli sviluppi. Guardando anche alla capacità del Paese di superare la cronica malattia dell’evasione fiscale. (N.P.)

CONTI PUBBLICI

I timori dell’Europa per l’«elevato debito». Il Fmi rivede il Pil

La Commissione Europea continua a temere l’elevato debito dell’Italia. «La nostra posizione è assicurare che le misure di supporto siano temporanee e mirate e che non lascino un onere permanente sulle finanze pubbliche e ciò è particolarmente rilevante per gli Stati membri fortemente indebitati».

È il monito rilanciato ieri dal vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, sottolineando che il debito indubbiamente non faciliterà l’iter della prossima manovra 2023. Dombrovskis, parlando alla Commissione economica dell’Europarlamento, ha rilevato che la spesa pubblica italiana è aumentata dell’1,5%. Serve «cautela», ha avvertito. Secondo il vice presidente, «quando le condizioni lo permettono è necessario ridurre il deficit e far diminuire il debito».

Impresa ancor più difficile con una crescita in frenata, per la ripresa dei contagi: ieri il Fmi ha rivisto al ribasso anche il Pil dell’Italia, al +3,8% dal +4,2% stimato solo in ottobre. Dombrovskis ha dichiarato inoltre che «è in corso» la valutazione della richiesta italiana di versamento della prima tranche di fondi del Piano di rilancio Ue. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha assicurato che «oltre il 90% dei milestone e dei target del 3° trimestre sono completate». In ogni caso, ha promesso, «l’austerità non tornerà».

(G.M.D.R.)

FRA LEGGE ELETTORALE E TAGLIO DEI PARLAMENTARI

Il rischio, senza un intervento, di un bipolarismo «indotto»

L’ultimo scorcio di legislatura è decisivo anche per capire con quale legge elettorale si andrà a votare nel 2023, a scadenza naturale della legislatura, o prima se dovesse mancare una maggioranza in Parlamento. L’attuale assetto di governo - con le larghe intese tra Lega, Fi, centristi, Pd, M5s e Leu – rappresenterebbe un vincolo per giungere a una riforma condivisa.

L’attuale sistema, detto Rosatellum dal nome di Ettore Rosato che l’ha ideato, assegna il 36% dei seggi con collegi uninominali e il 64% con collegi proporzionali a listino bloccato. Con la riduzione del numero dei parlamentari, i collegi assumono una dimensione molto rilevante, specie quelli al Senato. Non è detto che si raggiunga un accordo. È anzi da mettere in conto che alla fine, nel gioco dei veti reciproci, il Rosatellum resti intatto. Una soluzione che comunque non sarebbe priva di conseguenze, perché spingerebbe verso la strutturazione di un nuovo bipolarismo elettorale, con il centrodestra da una parte e Pd-M5s dall’altra, con l’incognita del posizionamento delle formazioni centriste. L’alternativa potrebbe essere un ritorno al proporzionale, con l’inserimento di una soglia di sbarramento alto. In tal caso, si andrebbe ad aprire una fase politica in cui i partiti si contano nelle urne e si aggregano dopo il voto.

(M. Ias.)

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