sabato 6 agosto 2022
Incontri di formazione, tappe a Leopoli e Bruxelles, un’altra marcia in autunno: il Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean) non si arrende
L’ingresso della marcia dei pacificatori italiani in Ucraina. La prima iniziativa di azione nonviolenta a Kiev è stata promossa dal Mean l’11 luglio

L’ingresso della marcia dei pacificatori italiani in Ucraina. La prima iniziativa di azione nonviolenta a Kiev è stata promossa dal Mean l’11 luglio - Gambassi

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Le sirene antimissile continuano a suonare in tutta l’Ucraina. «E anche a noi attivisti nonviolenti, che abbiamo vissuto a Kiev per tre giorni insieme al popolo aggredito, arrivano ancora come schegge impazzite le notifiche dell’App che segnala gli allarmi bomba», racconta Angelo Moretti, portavoce del Mean, il Movimento europeo di azione nonviolenta. «Il senso di impotenza – aggiunge – è pesante da sopportare. Invece c’è qualcosa che possiamo fare: ed è impegnarci come società civile a fianco degli ucraini perché la guerra cessi al più presto». Il Movimento ha portato nella capitale ucraina lo scorso 11 luglio, memoria liturgica di san Benedetto, patrono d’Europa, il primo gruppo di “pacificatori”: mai una delegazione di fraternità era giunta a Kiev dall’inizio della guerra per una manifestazione. Cinquanta in tutto. E italiani.

Avanguardie di una «mobilitazione di massa di migliaia di civili europei per un progetto di costruzione della pace e di assistenza umanitaria». Già messa a punto una road-map d’azione: dal 15 agosto si terrà un percorso di formazione online; a settembre la tappa a Leopoli con i sindaci dei piccoli Comuni sull’emergenza profughi; poi la “deviazione” a Bruxelles per un incontro all’Europarlamento; e in autunno una nuova marcia, forse a Chernihiv, nel nord del Paese, con i giovani della fondazione “Rebuild Ukraine”.

La scommessa nata nella Penisola dalla rete “Per un nuovo welfare” coinvolge 35 realtà che hanno storie e sensibilità diverse. In prima fila l’Azione cattolica italiana rappresentata nel primo drappello italiano in terra ucraina da Tommaso Cappelli. Esperto di comunicazione, responsabile dei canali social di Ac, è stato con i suoi 24 anni il più giovane attivista. «Mi sento figlio di un’Europa che ci ha garantito quasi ottant’anni di pace – spiega –. E, da quando è scoppiato il conflitto, mi chiedo ogni giorno che cosa un giovane possa fare di fronte a una tragedia di queste proporzioni». La risposta l’ha trovata nella sfida lanciata dal Mean. «Anzitutto c’è bisogno di abitare i luoghi della sofferenza: in questo caso, un Paese aggredito. Non trasformandolo in palcoscenico, ma portando il nostro sostegno e dicendo che si può coltivare un sogno di pace anche mentre cadono le bombe», afferma.

Come ha fatto la presidenza dell’Azione cattolica che, sottolinea Cappelli, «ha sposato un cammino d’umanità uscendo dai confini nazionali». «L’associazione – aggiunge Tommaso che è originario della diocesi di Faenza-Modigliana – ha deciso di affrontare un tema “caldo” benché non tutti i 170mila soci dell’Ac la pensino allo stesso modo sulla questione delle armi. E, se da una parte ha rilanciato l’appello per la messa al bando degli armamenti nucleari, dall’altra ha auspicato che a livello diocesano siano promossi “Abbracci di pace” fra ucraini e russi». Intanto lui guarda ai coetanei. «I ragazzi ucraini hanno paura di essere abbandonati e si appellano ai valori europei. Invece in Italia c’è il pericolo di assuefarci alla guerra. Dopo lo choc delle prime settimane, il conflitto sembra diventato parte del quotidiano. Ecco, occorre risvegliare le coscienze. E anche i social possono aiutare».

Raffaele Arigliani è un pediatra della Campania che dirige la Scuola di counselling. Anche lui c’era a Kiev. «La spirale di dolore e di violenza – sostiene – è destinata a crescere se non si comprende che non ci sarà alcuna vittoria con le armi. Fra il bianco e il nero che sono le categorie di un conflitto, c’è sempre la possibilità di una scala di grigi: è questo lo spazio della speranza». E cita Cristo, seppur in chiave tutta laica: «Gesù diceva: io sono con voi. Anche noi dobbiamo essere vicini all’altro: fisicamente, aggiungerei. Non è un caso che il mondo cattolico sia molto sensibile all’impegno per la pace che ha necessità di un apporto dal basso».
Fra gli ambasciatori di una “svolta” anche Tetyana Shyshnyak. È ucraina, vive a Benevento dove ha due figli, e insegna canto. Anzi, preside l’associazione culturale “Orbisophia” per riscoprire il patrimonio sonoro locale del VI secolo. «Tutto liturgico», chiarisce. È originaria di Donetsk. «Chi elabora teorie sulla pace deve mettere piede nel Paese – avverte –. E oggi dobbiamo tenere alta l’attenzione su ciò che sta avvenendo». Tetyana rimprovera ancora a se stessa di aver sottovalutato il “detonatore” Donbass.

«Era il 2014 quando nella regione è cominciata la guerra – racconta –. E mi sono sentita impotente. Ho provato a sensibilizzare l’opinione pubblica in Italia ma non ho trovato appigli. Così ho preferito lasciar perdere benché mia zia mi avesse riferito che un giorno, nei suoi uffici dell’Oblast, fosse arrivata una pattuglia di filorussi con i Kalashnikov e avesse rivendicato: “Da oggi comandiamo noi”». C’è voluta l’invasione russa del 24 febbraio per farne una delle principali animatrici del Mean. «Non basta donare un pacco di viveri per mettersi a posto la coscienza. Tutti siamo chiamati a sentirci responsabili delle sorti di una nazione attaccata. Non si può restare in silenzio. E l’incontro fra le società civili è fondamentale. Perché sono convinta che dal mio popolo potrà emergere una nuova forma di cittadinanza capace di far andare a braccetto una forte identità e l’apertura al mondo».

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