martedì 15 febbraio 2022
I sindacati Smi e Simet in piazza l’1 e il 2 marzo: si fermeranno 4mila medici di base, della continuità assistenziale e del 118. Contrarie le altre sigle: così si penalizzano i cittadini
Troppe ore di lavoro e niente ristori. La rabbia dei medici: «Scioperiamo»
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Sulla prima linea del Covid sono rimasti sempre: eroi prima, invisibili poi, persino complici della “dittatura sanitaria” per i no-vax, che significa nemici. E lì, sulla prima linea, medici e infermieri hanno finito col consumarsi: contagiati e spesso morti a causa del virus che combattevano, o in fila davanti alla stanza dello psicologo perché incapaci di gestire l’angoscia e lo stress, o ancora allontanati perché esausti fisicamente e mentalmente.

C’è un’altra curva dell’epidemia che nessuno misura: l’impatto che due anni di sofferenza hanno avuto sulla carne del sistema sanitario. Non ci sono fondi del Pnrr che possano curarne le ferite: nei giorni scorsi, anzi, dal Senato è arrivato anche il secco “no” al provvedimento che prevedeva un riconoscimento alle famiglie di chi fra i camici bianchi è deceduto (370 con il medico di famiglia di Verona Edward Haiek, scomparso lunedì). Ed è quest’ultimo schiaffo che la categoria ha deciso di non subire più in silenzio. Ieri una parte dei sindacati hanno deciso per lo sciopero: l’1 e il 2 marzo gli operatori sanitari incroceranno le braccia e scenderanno in piazza per denunciare tutto il loro disagio. Col risultato di chiusure generalizzate che non potranno non far male al Paese: perché quando si parla di sanità si parla di ambulatori, studi, visite programmate. Tutto quello di cui non possiamo fare a meno, soprattutto adesso che il Covid lascia uno spiraglio di respiro alle attività assistenziali e di screening troppo a lungo dimenticate. Lo sciopero indetto dal Sindacato medici italiani (Smi) e dal Sindacato italiano medici del territorio (Simet) riguarderà, tanto per dire, circa 4mila medici di base, della continuità assistenziale, del 118 e ambulatoriali aderenti alle due sigle, che hanno convocato anche una manifestazione a Roma il 2 marzo. Il malessere della categoria, denunciano i due sindacati, «è palpabile: carichi di lavoro insostenibili, mancanza di tutele, burocrazia aberrante e non ultimo il mancato indennizzo alle famiglie dei colleghi deceduti per Covid». E ancora: «Scioperiamo anche perché vi è la necessità che vi siano più medici sul territorio: ad oggi nel nostro Paese sono più di tre milioni i cittadini senza medico di famiglia. Le postazioni di guardia medica o vengono chiuse o accorpate per mancanza di personale. Le ambulanze del 118 sono senza medico a bordo». E anche lo stato di agitazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta della Fp Cgil «non si ferma. È necessario costruire una mobilitazione ampia e partecipata su tutto il territorio nazionale», sottolinea il sindacato.

Concorda sulle motivazioni del malessere ma non sulla opportunità di uno sciopero in questo momento, invece, la Federazione dei medici di medicina generale Fimmg (21mila gli iscritti): «Uno sciopero non concordato e fatto in un periodo di stato di emergenza per l’epidemia da Covid-19 danneggia solo il cittadino» sostiene il segretario generale Silvestro Scotti, convinto che «si sarebbero dovute trovare forme di protesta congiunte mirate ad evidenziare, e non a scaricare sui cittadini il disagio della categoria medica. Ovviamente siamo d’accordo sulle motivazioni, ma non è il momento di scioperare e ci meraviglia che i soggetti preposti al controllo delle iniziative di sciopero non intervengano». Scotti ricorda inoltre come nel contratto dei medici vigente sia previsto che «in caso di avvenimenti eccezionali gli scioperi si intendono sospesi e – afferma – lo stato di emergenza per la pandemia è in vigore fino al 31 marzo».

A denunciare l’insoddisfazione dei camici bianchi è anche il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli, rilevando come ci sia «un forte disagio che i sindacati medici interpretano in maniera diversa sia pure essendo tutti d’accordo sulle motivazioni di base». I medici «sono in sofferenza per il mancato potenziamento della medicina del territorio. Conseguenza di ciò è che sui medici di base si cumulano una serie di carichi di lavoro impropri, basti pensare alla mole di lavoro per l’attivazione dei Green pass». Ora, conclude Anelli, «chiediamo una sola cosa: fateci tornare a fare i medici».
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