mercoledì 11 maggio 2022
Così il Paese più povero d’Europa sta affrontando uno sforzo di accoglienza eccezionale ospitando 100mila ucraini distribuiti nei centri e tra le famiglie
Due piccoli profughi accolti lungo il confine della Moldavia, a Palanka

Due piccoli profughi accolti lungo il confine della Moldavia, a Palanka - .

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Sono giorni sempre più difficili per la piccola Moldavia, crocevia dei profughi ucraini e a forte rischio di invasione russa se il conflitto dovesse tracimare. Il Paese più povero d’Europa, con due milioni di abitanti effettivi e il doppio circa di immigrati in tutta Europa, sta affrontando uno sforzo di accoglienza eccezionale ospitando 100mila profughi distribuiti nei in centri e nelle famiglie. Ma ora che la guerra ha superato la fatidica data del 9 maggio e minaccia di andare per le lunghe, anche le aspettative e i bisogni dei rifugiati stanno cambiando creando tensioni nell’ex repubblica sovietica indipendente da 30 anni.

Dall’inizio del conflitto da questa terra incuneata tra Romania e Ucraina e divisa in due con la repubblica filorussa non riconosciuta di Transnistria si stima siano passate almeno 400 mila persone. «Al centro di frontiera di Palanka – spiega Edward Lucaci, direttore di Caritas Moldavia – il flusso è leggermente diminuito rispetto alla prima ondata dei profughi di marzo e aprile, ma sono cresciuti i bisogni. I primi transitavano diretti verso una destinazione precisa nella Ue, avevano bisogno di un luogo per dormire e sostare poche ore e di cibo.

Ora arrivano persone in fuga da Odessa, da Mariupol, da Kherson, dalle repubbliche autoproclamate del Donetsk e di Luhansk. Gente che ha perso tutto, ha visto la morte da vicino e ha lasciato là mariti, parenti e amici. Mamme sole con sei otto, bambini. Sono tutti traumatizzati, hanno bisogno sia di accoglienza che di assistenza psicologica. Molti infatti vogliono restare in Moldavia per tornare in fretta a casa quando la guerra finirà». A Palanka vengono presi in carico dall’Unhcr che li traspora in un primo cento di smistamento dove chi vuole può dirigersi in Romania oppure viene portato a Chisinau, la capitale moldava.

Cè anche un flusso importante di rientro degli ucraini del nord del Paese. Lucaci, 42 anni, è diventato direttore nel 2019 e ha dovuto affrontare prima l’emergenza della pandemia ora l’invasione dell’Ucraina. Focalizza i problemi nuovi: «Non ci sono campi profughi, abbiamo creati diversi centri di accoglienza. Caritas Moldova ne gestisce ad esempio due direttamente e ne supporta altri sei. Al momento ci sono 100 centri accreditati sul territorio nazio- nale.

Alcuni sono centri sanitari gestiti delle autorità pubbliche, altri da Ong o dalle autorità locali. Qui restano i più vulnerabili, soprattutto madri sole con figli, anziani e disabili che non possono viaggiare o non vogliono allontanarsi, e a cui serve qualcosa in più del cibo e dell’assistenza legale. Poi c’è l’accoglienza diffusa in comunità e famiglie dei profughi di origine moldava che si erano spostati a lavorare in Ucraina, dove le paghe erano più alte, e che hanno invece necessità di reintegrarsi e bisogno di soldi mentre cercano lavoro».

Lo sforzo della Caritas riguarda quindi il supporto alla salute, compresa quella mentale, e progetti di integrazione sociale, scolastica e lavorativa. Caritas italiana con la rete delle Caritas europee monitora e sostiene tutti questi progetti fin dall’inizio – come ha fatto con tutti i Paesi confinanti con l’Ucraina – e ha messo a disposizione un operatore, Ettore Fusaro, che funge anche da consulente per la rete della Caritas internationalis. Si teme che la presenza prolungata dei rifugiati crei tensioni soprattutto tra i giovani sotto i 30 anni, come diceva un sondaggio governativo di qualche giorno fa, i quali temono la concorrenza per i lavori più qualificati. «Ma i nostri giovani guardano all’Ue per emigrare– commenta il vescovo di Chisinau Anton Cosa, 60 anni – e del resto i profughi che vogliono restare sono di origine moldava, sono tornati a casa. È importante creare le occasioni di integrazione scolastica e lavorativa aiutando tutta la popolazione, anche quelle locale.

Noi, grazie al supporto immediato del Papa, delle Caritas, di altre istituzioni cattoliche e di benefattori privati ci muoviamo in questa direzione oltre che in supporto delle mamme e delle donne sole». Il vescovo Anton guida un gregge di 20 mila persone compresa la Transnistria. Era preoccupato come tutti che la giornata del 9 maggio, considerata sacra in Moldavia perché si festeggia la vittoria sui nazisti, si trasformasse in un giorno di rivolte e scontri fomentati dai filorussi. «Ci sono state tensioni e provocazioni, ma mi aspettavo di peggio.

Le autorità hanno gestito la situazione abbastanza bene ». Per i rifugiati il pastore di Chisinau sa che l’allungarsi del conflitto costituisce un grosso problema. «Diventa più difficile tranquillizzarli, si preoccupano per le famiglie in Ucraina. La stanchezza si fa sentire, ma continueremo questo servizio fino alla fine della guerra. Che spero finisca prima possibile. Ma penso che l’Ucraina possa resistere a lungo, Certo, hanno il diritto di difendersi e hanno sofferto molto. Ma devono riconciliarsi tra loro e non credo che continuando a dare le armi li si aiuti. Noi cristiani dobbiamo sostenere con la preghiera il cammino verso la pace».

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