giovedì 5 settembre 2013
​Lettera choc della società civile e di tutti i gruppi politici: qui si consuma un genocidio e lo Stato resta indifferente. Dopo le rivelazioni del capo camorrista Schiavone è ora che vengano presi provvedimenti per risanare la zona. VAI AL DOSSIER
Rogo in fabbrica, allarme contaminazione (Pino Ciociola) | IL VIDEO
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SECONDO NOI Il tempo della concretezza
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Le richieste sono sempre le stesse: attenzione, interventi immediati, verità e giustizia. Non fosse che la gente muore, intanto, che i funerali si ripetono, i cimiteri si riempiono, i bambini nascono e, chissà, forse già in grembo s’ammalano.A lanciare l’ennesimo grido, chiedendo giustizia per la striscia avvelenata di campi e case e città compresa tra le province di Napoli e Caserta, stavolta è il Comitato Terra dei fuochi e dei veleni, che raccoglie comitati e associazioni (da Libera Caserta al comitato don Peppe Diana, da Legambiente Casapesenna e Nuova cooperazione organizzata) e molte forze politiche locali (dal Pd all’Udc al Pdl fino ai grillini). Ventisei realtà associative che hanno scritto direttamente al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.«Egregio presidente, chi le scrive non è una sola persona, ma tutto un popolo – si legge nella missiva – che, seppure tormentato da violenze e sopraffazioni da oltre un trentennio, ancora trova la forza di ribellarsi ai suoi oppressori». Sono quelli come Carmine Schiavone, quelli che per anni hanno piantato il Male nella terra, indisturbati. Le dichiarazioni choc del collaboratore di giustizia, rilasciate appena qualche giorno fa, bruciano come roghi: «Le sue accuse agghiaccianti rivolte alla camorra – scrive il Comitato – e a una parte della politica, della magistratura, delle forze di polizia e dei carabinieri ci hanno gettato in uno sconforto profondo e al contempo ci hanno spinto a muovere le nostre coscienze». Schiavone ha parlato delle tonnellate di rifiuti chimici, ospedalieri, farmaceutici e di fanghi termonucleari scaricati dal Nord Europa e interrati. «Tutti noi ne sentivamo parlare – continua il Comitato nella lettera – ma averne la certezza, dalla voce e con le parole di chi materialemente lo ha fatto, è stato un dolore troppo forte». È la certezza terribile che pochi uomini abbiano pregettato ed eseguito quello «che può diventare il genocidio di un intero popolo» e che «lo Stato abbia finto di non sapere, lasciando che questa tragedia si consumasse nel silenzio colpevole delle istituzioni e dell’indifferenza generale».Di qui la “scossa”, l’appello senza se e senza me affinché il capo dello Stato intervenga con una parola ferma e risolutiva nella questione: il Comitato chiede a Napolitano di «sollecitare l’intervento urgente delle Autorità preposte», di «rendere noti i siti inquinati delle nostre terre a partire dalle banche dati già in possesso degli Enti preposti alla tutela del territorio e della salute pubblica. Ancora, di «chiedere l’avvio in tempi brevissimi di azioni di bonifica», di «individuare i responsabili che a vario titolo sono artefici di questo disastro ambientale».Ora non resta che aspettare. Già, aspettare, la macabra parola d’ordine che la gente del Casertano non vorrebbe più sentire. Perché il cancro non aspetta. A Casal di Principe, Casapesenna, Aversa miete vittime tre volte più voracemente che altrove: l’ultima si chiamava Filomena, aveva 27 anni e due bambini, i suoi funerali si sono celebrati a Caivano martedì. E nemmeno i veleni, aspettano. Quelli continuano ad appestare la terra, le coltivazioni, le falde acquifere. Come all’Eurocompost, la fabbrica bruciata nei giorni scorsi: era chiusa da tempo, era diventata un deposito abusivo di acidi e solventi, le fiamme hanno buttato nell’aria cenere tossica che s’è depositata tutt’intorno fino al paese vicino, Orta di Atella. Pensare che su quella polveriera aveva lanciato un allarme già ai primi di agosto l’Arpac (l’Agenzia regionale per l’ambiente Campania), chiamando in causa il Comune e le forze dell’ordine. E anche Avvenire, ancora ai primi di giugno, aveva documentato in un videoreportage la situazione critica della fabbrica. Se l’indifferenza fa più male dei rifiuti.
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