mercoledì 19 giugno 2013
​Ora è allarme prescrizione. Molti crimini legati all’emergenza rifiuti in Campania rischiano di restare impuniti per i tempi della giustizia. Il ministro Orlando: questo è uno dei fronti su cui lavorare.
EDITORIALE Arrivederci e grazie? di Maurizio Patriciello
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​Dopo il danno la beffa. Gran parte dei processi su traffici e smaltimenti illeciti di rifiuti finiscono in prescrizione. Senza condannati. Almeno per i fatti precedenti al 2010. Cioè per gran parte del grandi e sporchi affari delle ecomafie, e per le illegalità legate all’interminabile emergenza rifiuti in Campania. Processi lunghi e prescrizione breve, anche in conseguenza delle pene esigue in materia ambientale. Così gli imputati la scampano. E il “popolo inquinato” non ottiene giustizia. Ultimo caso clamoroso quello di pochi giorni fa relativo al processo che vede coinvolto anche l’ex presidente della Campania, Antonio Bassolino, per gli scandali relativi all’emergenza rifiuti. Una situazione talmente assurda che il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, ha deciso di metterci mano. «La revisione dei crimini ambientali è uno dei fronti principali su cui stiamo lavorando», spiegano al ministero dove, infatti, è stato costituito un apposito team «con forti competenze».Tutto parte dai reati. Gran parte dell’illegalità ambientale, e quindi anche i rifiuti, è materia contravvenzionale e non delitto. Poco più che un multa del Codice della strada. L’unico delitto è il traffico illecito di rifiuti, approvato dal Parlamento nel 2002 e inserito successivamente all’articolo 260 del Codice dell’Ambiente. Una norma preziosa che ha permesso di utilizzare strumenti investigativi prima preclusi, come le intercettazioni telefoniche e ambientali. Ma la prescrizione resta breve, appena 6 anni, ovviamente per tutti e tre i gradi di giudizio. C’è, infine, il reato di disastro ambientale ma, come spiega Donato Ceglie, sostituto procuratore in Corte d’appello a Napoli, uno dei maggiori esperti in materia di rifiuti, «è difficile dimostrarlo perché, come hanno sentenziato sia la Consulta che la Cassazione, non basta la colpa ma è necessario il dolo». Così sono pochi i magistrati che imboccano questa strada.

Nel 2010 è poi arrivata una novità con la legge 136 (“Piano antimafia”) che ha inserito il reato previsto dall’articolo 260 in quelli di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia, raddoppiando così la prescrizione da 6 a 12 anni. «Ma questo vale solo per i reati commessi dopo il 2010 – spiega Maria Cristina Ribera, della Dda di Napoli, titolare di molte importanti inchieste su rifiuti e camorra –. Ormai lo scempio è stato fatto, la stalla viene chiusa quando i buoi sono scappati». Già perché i grandi affari e i grandi disastri delle ecomafie, quelli che i cittadini campani subiscono e subiranno per anni, risalgono agli ultimi due decenni del secolo scorso. Si dirà che, comunque, 6 anni per giungere a un giudizio e evitare la prescrizione non sono pochi. Purtroppo non è così. «Il dato della prescrizione in tema di rifiuti è molto diffuso, così come per i reati in materia edilizia ed è la spia di un malessere giudiziario che è difficile rimuovere», ammette Aldo De Chiara per anni a capo del pool reati ambientali della Procura di Napoli e oggi Avvocato dello Stato a Salerno. Anche perché, denuncia, «mancano risorse economiche e strumentali». A fronte, si associa la collega Ribera, «di processi complessi, pieni di consulenze tecniche, perizie, intercettazioni». E che, comunque, finiscono sempre in coda nella programmazione dei tribunali perché prima vengono quelli con detenuti o per reati di mafia. E quasi mai la materia rifiuti ci rientra. Invece, propone la pm, «questi processi andrebbe resi prioritari». Anche perché, si associa De Chiara, «per fatti che incidono sulla vita delle persone occorrerebbe un maggior impegno per giungere ad una decisione e per dare risposte chiare all’opinione pubblica». Tutto questo, rincara la dose Ceglie, «si cala nel panorama generale della giustizia che ancora attende reali riforme e fondi adeguati». Poi, aggiunge, «nello specifico dei reati ambientali, che prevedono indagini molto complesse, ci vorrebbe una maggiore professionalità che non si inventa ma si costruisce negli anni, mentre c’è un eccesso di ricambio tra i magistrati che non aiuta a trasmettere i saperi». Ma purtroppo soprattutto i rifiuti, ma anche l’abusivismo edilizio, non “tirano”, così ci si applicano pochi magistrati, i processi vanno in coda e a rilento, e così scatta la prescrizione. Cosa fare? «In primo luogo inserire i reati ambientali nel Codice penale - sottolinea Enrico Fontana, responsabile del settore Legalità di Legambiente -, quindi allungare i tempi di prescrizione o, almeno, interromperli tra primo e secondo grado. E poi - insiste anche lui - questi processi dovrebbero avere più attenzione da parte della magistratura. Altrimenti la giustizia arriverà sempre tardi». Concorda De Chiara. «Questi procedimenti non vanno sottovalutati, serve una riorganizzazione dei lavori rendendoli prioritari anche intensificando le udienze. Anche perché dopo tanto lavoro delle indagini vedere finire tutto nel nulla provoca una comprensibile amarezza. E l’immagine della giustizia non ne esce bene».  E comunque, avverte Ceglie, «ricordiamo che se l’unica risposta è giudiziaria non si arriverà da nessuna parte».

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