giovedì 10 febbraio 2022
All’impianto sperimentale Jet, in Inghilterra, gli scienziati del consorzio Eurofusion hanno prodotto una quantità di potenza mai ottenuta in 25 anni
Un'immagine del Jet (Joint European Torus), il reattore nucleare per la ricerca europea sulla fusione nucleare

Un'immagine del Jet (Joint European Torus), il reattore nucleare per la ricerca europea sulla fusione nucleare - Ansa

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Nel villaggio di Culham, cinquecento anime alle porte di Oxford, la ricerca europea ha strappato alle stelle un altro segreto per realizzare il sogno inseguito da oltre quarant’anni: produrre energia pulita grazie alla fusione nucleare, quel processo senza scorie che fa splendere il Sole. Il paesino britannico dell’Oxfordshire ospita dal 1983 l’impianto sperimentale 'Jet', Joint european torus, un 'ciambellone' di elettromagneti per la fusione termonucleare, dove gli scienziati del consorzio Eurofusion – l’annuncio è stato fatto ieri con un’apposita conferenza stampa – hanno prodotto una quantità di potenza mai ottenuta finora: 59 megajoules a intervalli di 5 secondi. È l’equivalente di 11 megawatt che consentirebbero in teoria di illuminare, se costanti nel tempo, 1.600 appartamenti. «Ma se possiamo mantenere la fusione per cinque secondi, possiamo farlo per cinque minuti e poi per cinque ore nelle macchine future », ha osservato Tony Donné, responsabile del programma che vede la partecipazione di 4.800 tra esperti, studenti e personale in staff da tutta Europa e nel quale l’Enea coordina la partecipazione italiana (21 partner tra università, enti di ricerca come il Cnr e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare insieme ad alcune imprese).

«Nelle macchine future», ha giustamente sottolineato Donné. Il risultato annunciato ieri è stato ottenuto modificando il reattore del Culham Centre for Fusion Energy, detto 'piccolo Iter', per renderlo più simile alle future condizioni del 'vero' Iter, l’International thermonuclear experimental reactor da venti miliardi di euro ancora in fase di costruzione a Cadarache, in Francia, che nel 2035 dovrebbe dare la prima risposta concreta sulla fattibilità della fusione. Ma secondo Alessandro Dodaro, responsabile del Gruppo di ricerca italiano entro al progetto, il record di Jet «potrà convincere anche i più scettici». Per produrre energia netta, ovvero per rilasciare più energia di quella fornita dai sistemi di riscaldamento, l’impianto britannico è ancora troppo piccolo. «E ottenere questo risultato non sarà possibile fino a quando l’esperimento Iter su larga scala non sarà in rete» spiegano gli scienziati nella loro nota.

Proprio per riprodurre le condizioni interne a Iter, tra il 2009 e il 2011, il vecchio rivestimento in carbonio di Jet è stato sostituito con lo stesso materiale che sarà utilizzato in Francia, una miscela di berillio e tungsteno. Le nuove pareti sono così in grado di resistente alle altissime temperature che vengono raggiunte dal plasma, una specie di gas caldissimo e rarefatto in cui i nuclei degli atomi vaga- no liberi, sciolti dai rispettivi legami. Il plasma è comunque 'confinato' grazie a un potentissimo campo magnetico. Perché nel plasma i nuclei si fondano bisogna infatti raggiungere una temperatura di 100 milioni di gradi: quella del Sole. E per riuscirci, qui sulla Terra, gli scienziati hanno imparato a utilizzare una miscela di due isotopi dell’idrogeno chiamati deuterio e trizio. Una volta riscaldato, però, il plasma è instabile. Va quindi 'guidato' attraverso enormi elettromagneti affinché la fusione nucleare continui. Ebbene: Jet ci è riuscito per 5 secondi. Mentre Iter dovrebbe garantire questo processo «indefinitivamente», aprendo così la strada al nucleare pulito di quarta generazione proprio quando – sottolinea l’Enea – «aumenta a livello globale la richiesta di affrontare efficacemente gli effetti del cambiamento climatico attraverso la decarbonizzazione della produzione di energia». La fusione è infatti un processo diverso dalla fissione nucleare che alimenta le attuali centrali: riproduce il processo che avviene nel cuore delle stelle e nel quale i nuclei di due elementi leggeri si uniscono formando un nuovo nucleo, rilasciando al contempo energia. La fissione genera invece energia provocando la scissione degli atomi, e in questo processo genera sostanze di scarto radioattive, le famose scorie. In tal senso una delle ricercatrici italiane direttamente impegnate nel Joint european torus, Paola Batistoni, ha definito il test «una prova generale per l’energia pulita del futuro». E la presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza, «un passo cruciale verso la produzione di energia abbondante ed eco-sostenibile». La marcia è ancora lunga, certo, visto che l’obiettivo per accendere la luce in casa con la fusione è stimato oggi intorno al 2050. Ma quei 'cinque secondi' raggiunti a Culham rappresentano effettivamente un bel salto in avanti. Con la ricerca italiana a spingere.

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