martedì 9 novembre 2021
Saber ha vinto una delle 45 borse di studio messe a disposizione da 23 università italiane a ragazzi e ragazze che vengono da Eritrea, Somalia, Sudan, Sud Sudan, e Repubblica Democratica del Congo
Gli studenti dei corridoi universitari arrivano in Italia

Gli studenti dei corridoi universitari arrivano in Italia - Unhcr / Unimi

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"Sono diventato un rifugiato a due anni. Ne ho trascorsi 19 nel campo e per andare a scuola percorrevo 15 chilometri al giorno". Saber ha 22 anni, è nato e cresciuto in Etiopia, ma ora studia in Italia grazie al progetto Unicore (University corridors for refugees), corridoi universitari dedicati alle persone rifugiate. Saber ha vinto una delle 45 borse di studio messe a disposizione da 23 università italiane a ragazzi e ragazze che vengono da Eritrea, Somalia, Sudan, Sud Sudan, e Repubblica Democratica del Congo.

"È stato incredibile per me arrivare qui ­– racconta lo studente -. Ho trascorso molti anni nel campo e chi era con me non aveva mai visto nessuno andarsene, tanto più all’estero". Lui riconosce che "chi cresce nei campi profughi ha un disagio psicologico grande, è qualcuno che ha perso la famiglia, la patria, ha perso tutto… mancano anche le cose essenziali: cibo, acqua, vestiti, un riparo".

La svolta nella vita di Saber è arrivata quando è stato selezionato dall’università Statale di Milano e ora ammette che "prima non sapevo cosa fossero i diritti umani, come sono nati… ma ora lo so e penso siano bellissimi". Per il futuro ha le idee chiare: "Voglio diventare un esempio per la mia comunità. Sento che devo riuscire a migliorare la vita dei bambini del campo".

Gli studenti dei corridoi universitari arrivano in Italia

Gli studenti dei corridoi universitari arrivano in Italia - Unhcr / Unimi

Alessia Di Pascale è la coordinatrice di Unicore per l'università Statale, conosce Saber e gli altri ragazzi arrivati in Italia e non ha dubbi che "per alcuni è una questione di vita o di morte riuscire a prendere il biglietto aereo per arrivare qui". Le domande soprattutto da ragazzi, mentre le ragazze sono poche, forse perché il programma si rivolge a studenti magistrali e "molte studentesse si fermano alla laurea triennale – ipotizza Di Pascale - per esempio scelgono infermieristica o altri percorsi che permettano di lavorare subito" anche perché la sensazione "è che le ragazze abbiano più difficoltà nell’accesso all’istruzione e poi il processo di selezione è molto rigido: serve una media scolastica che corrispondente al nostro 27, ma molte sono penalizzate nelle valutazioni".

Alcuni studenti hanno difficoltà oggettive anche solo a trovare una connessione per sostenere il colloquio di ammissione da remoto. "C’era un ragazzo che parlava un inglese impeccabile – racconta Di Pascale -, glielo aveva insegnato la mamma nel campo. Lui era preparatissimo, ma era collegato sotto un tetto di lamiera con le capre che belavano intorno". Questo "dimostra la loro motivazione". I ragazzi vengono seguiti nel percorso scolastico, ma anche accompagnati in attività sportive, laboratori, corsi di italiano e, "cosa davvero importante – dice la professoressa – anche inseriti in famiglia" perché "parliamo di rifugiati che non possono tornare nel loro paese e devono sentirsi amati e accolti. Sono ragazzi".

Accoglienza è il senso del lavoro che fa Caritas, i cui operatori "organizzano i voli, prendono i ragazzi in aeroporto e ­– spiega Oliviero Forti, il responsabile delle politiche migratorie - in tempi di Covid li seguono per il tampone, il vaccino e l’eventuale quarantena". E riflette sulla difficoltà di operare nelle "grandi città, in cui l'inserimento è più difficile da seguire rispetto a quanto avviene nelle città più piccole" perché qui "le parrocchie si attivano più facilmente perché l’arrivo di nuove persone è una novità".

A supportare il percorso degli studenti c’è anche l’Unhcr, l'agenzia delle Nazioni Unite che aiuta i rifugiati e dà loro protezione e assistenza. L’organizzazione punta a raggiungere entro il 2030 un tasso di iscrizione del 15% a programmi di istruzione superiore per i rifugiati. Questo anche grazie ai Corridoi universitari che coinvolgono il 3% dei rifugiati a livello globale. Chiara Cardoletti è la rappresentante Unhcr per l’Italia e dice che la difficoltà maggiore di questo progetto "è presentare obiettivi realistici per le università che selezionano i ragazzi, perché non sono studenti comuni. Hanno vissuto in posti difficili, con mancanze e un passato complesso: cercare lo studente perfetto non è e non può essere l’obiettivo". L'Unhcr "bussa alle porte delle università, controlla i visti, parla con i ministeri e tesse i rapporti con i governi – dice Cardoletti – e io come italiana sono davvero soddisfatta perché il mio popolo è generoso, il mondo universitario aperto e così questi ragazzi hanno un’opportunità concreta di futuro".

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