martedì 29 ottobre 2019
A tre anni dall'incidente in cui morirono sette studentesse italiane, e dopo tre archiviazioni, i giudici di Tarragona ammettono l'istanza delle famiglie. Chi guidava è accusato di omicidio colposo
L'autobus spagnolo dopo l'incidente in cui morirono 13 persone, tra cui 7 studentesse italiane (nelle foto piccole in alto)

L'autobus spagnolo dopo l'incidente in cui morirono 13 persone, tra cui 7 studentesse italiane (nelle foto piccole in alto)

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La battaglia continua. Dopo tre anni di ricorsi alla giustizia spagnola, le famiglie delle sette studentesse italiane perite nella strage avvenuta sull'autostrada da Valencia e Barcellona nella notte del 20 marzo del 2016 hanno ottenuto di far processare l'autista che era alla guida del bus, Santiago Rodríguez Jimenez, di 62 anni, che a un primo interrogatorio della polizia ammise di aver avuto un colpo di sonno ma poi ritrattò. Saranno i giudici della Corte d'Assise di Tarragona a valutare le sue responsabilità nell'icidente: l'uomo è accusato di omicidio colposo. Nello schianto del pullman contro il guard-rail morirono 13 studentesse che partecipavano all'Erasmus, sette di loro erano italiane, tra i 18 e i 25 anni: Elisa Valent, Valentina Gallo, Elena Maestrini, Lucrezia Borghi, Elisa Scarascia Mugnozza, Serena Saracino e Francesca Bonello. Sul mezzo viaggiavano 57 persone. Proprio i genitori di Francesca Bonello, attraverso il loro legale, hanno commentato da Genova la svolta nella triste vicenda. "Si tratta di una decisione che accogliamo con soddisfazione - hanno affermato - Finalmente potremo avere un processo e chiedere giustizia".

In un primo momento l'autista aveva ammesso di essersi addormentato. Una circostanza confermata, in un secondo tempo, anche dalle consulenze di parte sulla scatola nera, che mostravano vistosi e improvvisi cambi di velocità, come se il guidatore avesse avuto diversi momenti di distrazione prima dello schianto. Non solo. Gl investigatori catalani, avevano escluso che il pullman avesse guasti al motore. Il conducente, tuttavia, aveva ritrattato quella prima versione, durante un interrogatorio. E a complicare ulteriormente il quadro si era aggiunta una perizia, che le famiglie anno atteso per sette mesi, sul sistema frenante del mezzo. Dopo questa lunga attesa il perito della Procura di Amposta aveva concluso che era impossibile stabilire se i freni funzionavano o no. E la Procura aveva chiesto una nuova archiviazione. Ma adesso si ricomincia da capo. Con un imputato alla sbarra.

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