martedì 11 agosto 2020
Viaggio nelle dieci case di Perugia dove ragazzi con disabilità psichica e “normali” diventano coinquilini. Ecco come l’esperienza favorisce l’autonomia dei primi e la crescita personale dei secondi
Edoardo e Lorenzo, due dei protagonisti del progetto Prisma

Edoardo e Lorenzo, due dei protagonisti del progetto Prisma - .

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La convivenza come terapia, ma anche come modalità di integrazione e crescita umana dei soggetti con disabilità psichica. Il progetto Prisma (acronimo di Programma ricerca-intervento salute mentale e autonomie), taglia il nastro dei 22 anni. Nato a Perugia su iniziativa dello psichiatra Carlo Brutti, mette sotto lo stesso tetto soggetti con disabilità psichica e altri che invece hanno una esigenza abitativa: studenti, lavoratori, semplici volontari.

Un progetto curato dalla Fondazione Città del sole e dall’Associazione RealMente che in questi anni ha visto alternarsi diversi ospiti nelle dieci case sparse sul territorio comunale. In ognuna vive un disabile insieme ad uno o più soggetti normodotati, che hanno il solo obbligo di esserci dalla sera (a partire dalle 19) al mattino, ma che invece nel tempo hanno sviluppato un rapporto più profondo. Marco Casodi è uno di quelli che il progetto ha contribuito a scriverlo: «L’idea era di creare un progetto che non riproducesse i meccanismi del manicomio ma che allo stesso tempo fungesse come forma di intervento per questi ragazzi, come “patto di cura”. Ognuno ha la sua casa ed un progetto personalizzato sulle 24 ore che può comprendere un lavoro o la formazione. Poi c’è la convivenza serale. Posso dire, dopo tutto questo tempo, che la sfida è vinta.

Matteo, che vive con me ed un’altra persona, ne è l’esempio più limpido». Matteo oggi ha 42 anni e vive con Marco dal 1998: «Ha una grave forma di autismo, necessità di accompagnamento, non legge, non scrive, anche se parla. Ma da quando è parte di questo progetto è cambiato. È uscito di casa a 20 anni che aveva un rapporto terribile con tutti, aveva episodi di autolesionismo, era violento. Oggi posso dire che è uno spettacolo di uomo e anche il rapporto con i familiari, che vede ogni due settimane, è cambiato».

Con Matteo e Marco da otto anni vive una ragazza: «Anche lei ha dovuto imparare a rapportarsi con Matteo, che chiede sempre grande attenzione. Quando non ci sono, gli altri li mette un po’ alla prova». La gestione delle problematiche è quella che più impegna i coinquilini (ognuna delle 10 case ha un educatore referente a cui rivolgersi in caso di bisogno): «Per esempio in un’altra casa abbiamo Barbara, che vive con tre persone – spiega Casodi – che ha un rapporto complesso col cibo e mangia qualunque cosa trovi. Nel suo caso abbiamo dovuto a volte chiudere a chiave la cucina e riaprirla solo per i pasti». Edoardo Battizzocco è arrivato a Perugia da Verona per studiare medicina e si è trovato coinvolto quasi per caso nel progetto: «Avevo vinto una borsa e abitavo in un collegio, poi mi è arrivata una mail dell’agenzia universitaria che mi presentava questo progetto. Voglio diventare psichiatra, quindi l’ho vista da subito come un’occasione di formazione».

Da due anni vive Lorenzo, 23 anni: «Ci siamo conosciuti per alcune settimane – spiega –, poi è partito il progetto. Non è stato facile ma piano piano nasce un feeling che va al di là del “contratto”, tanto che abbiamo fatto anche le vacanze insieme. Da studente fuori sede che non aveva orari, ho dovuto imparare a darmi orari fissi, perché lui deve sapere quando ci sono o quando invece c’è un altro dei coinquilini». Per Lorenzo, Edoardo è un supporto: «Ha diversi problemi, tende a ripetere sempre le stesse cose, ha uno schema mentale fisso, qualunque cambiamento lo sconvolge: è successo quando ha dovuto cambiare lavoro e casa. Lì entriamo in gioco noi: dobbiamo seguirli e spiegare».

Fortunatamente il lockdown non ha fermato il progetto e anzi ha contribuito a rafforzarlo: «I pazienti psichiatrici vivono a tutti gli effetti con noi, non nelle famiglie – dice ancora Castoldi – quindi il centro diurno è rimasto sempre aperto. Ci siamo rintanati al suo interno: è stato faticoso perché hanno sofferto, ma anche bello. Per i ragazzi è stata l’occasione anche per conoscersi un po’ meglio visto che abitano in 10 case diverse».

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