venerdì 19 ottobre 2018
Prima il Policlinico, ora il San Raffaele: la diagnosi che più spesso portava le donne a scegliere di abortire non fa più paura
I primi interventi di spina bifida corretta in utero
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È Milano la capitale europea della cura per la spina bifida in utero. Dopo i 4 interventi chirurgici – i primi nel Vecchio Continente – eseguiti al Policlinico universitario, dove è stato inaugurato un vero e proprio percorso specializzato nella chirurgia fetale, ecco che un nuovo approccio neurochirurgico – anche in questo caso senza precedenti in Europa – è stato eseguito all’Ospedale San Raffaele nell’utero di una donna alla 22esima settimana di gestazione, dopo che, pochi giorni prima, alla 19esima settimana cioè, i medici avevano diagnosticato al feto la spina bifida. Neurochirurghi e ginecologi hanno riparato definitivamente il difetto dorsale congenito.

L’intervento – che ha richiesto l’impiego di un team interdisciplinare, come del resto avvenuto per i colleghi del Policlinico – è durato due ore ed è stato condotto con una tecnica a ridotta invasività che minimizza la possibilità di causare traumi all’utero e che garantisce un’esposizione minima del feto che rimane sempre protetto dal calore materno. Gli specialisti, spiega una nota del nosocomio del Gruppo ospedaliero San Donato, entrando nel sacco amniotico attraverso «un’unica e piccola incisione dell’utero gravido», hanno esposto il «dorso fetale con la malformazione ed eseguito la correzione totale, riparando con avanzati strumenti di micro-neurochirurgia le strutture anatomiche che non si erano congiunte a causa del difetto congenito». La mamma, una donna italiana, sta bene ed è stata già dimessa dall’ospedale.

Sarà costantemente seguita fino al momento del parto che potrebbe avvenire intorno alla 38esima settimana. La correzione completa della spina bifida assume un’importanza straordinaria non solo per il nascituro, ma per la storia stessa della malattia. Per anni, infatti, dopo una diagnosi simile, molte donne hanno preferito abortire. La spina bifida è certamente tra le condizioni peggiori nell’ampio alveo delle malformazioni congenite ed è causata dalla chiusura incompleta di una o più vertebre del nascituro nei primi mesi di gravidanza (in alcuni casi per fattori genetici, in altri per carenza di acido folico); quando non letale, comporta deficit funzionali e motori molto severi: la perdita della mobilità degli arti inferiori, il precario controllo degli sfinteri e diffusi problemi neurologici che investono anche l’area dell’apprendimento. Per i medici quello della chirurgia mininvasiva in utero si sta rivelando un percorso sempre più affidabile per curare la patologia.

Al Policlinico di Milano, per il mese prossimo, è già in calendario un nuovo intervento: gli specialisti di chirurgia fetale, pediatrica e quelli di ginecologia del Mangiagalli Center dell’ospedale universitario, utilizzano ormai di routine tecniche che «raddoppiano le possibilità di sopravvivenza di molti bambini che stanno affrontando delle difficoltà per venire al mondo», anche grazie a strumenti mininvasivi con uno spessore di soli 3 millimetri. L’innovativo approccio messo a punto al San Raffaele, d’altra parte, apre ulteriori prospettive di risoluzione del grave difetto. L’operazione, l’ultima in ordine di tempo a Milano, è stata coordinata dal professor Massimo Candiani, primario di Ginecologia e ostetricia e dal professor Pietro Mortini, primario di Neurochirurgia.

«Questo eccezionale intervento – spiega Candiani – è un traguardo importante nel campo della terapia fetale perché permette migliori opportunità di cura rispetto ai risultati che oggi si possono ottenere con le terapie effettuate in epoca neonatale. Questa scelta terapeutica, non sperimentale e supportata da solide basi scientifiche, è un’opzione importante per le donne gravide a cui è stata diagnosticata tale malformazione fetale». Le evidenze scientifiche internazionali, aggiunge Mortini, «dimostrano che i bambini con spina bifida operati in utero hanno meno conseguenze neurologiche dopo la nascita e maggiori possibilità di recupero rispetto a quelli operati da neonati. Il processo di riparazione prosegue infatti nelle settimane di gravidanza successive all’intervento portando verso la normalità le strutture e le funzioni neurologiche del feto».

Determinante il lavoro interdisciplinare: in sala operatoria hanno lavorato insieme ostetrici- ginecologi, neurochirughi, anestesisti, infermieri. Ospite d’eccezione, il professor Fabio Andrioli Peralta, noto ostetrico ginecologo ed esperto di chirurgia fetale di San Paolo, in Brasile, che ha sviluppato la tecnica già utilizzata su oltre 200 pazienti. E che oggi è realtà anche in Italia.

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