sabato 11 gennaio 2020
L’allarme rilanciato da don Mosè Zerai
Sos dalle prigioni: si sentono spari vicino a noi

Ansa

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Un drammatico Sos arrivato da un centro di detenzione di migranti in Libia. «Siamo circa 650 persone, donne e uomini di diverse nazionalità, di cui 400 eritrei ed etiopi, viviamo costantemente nella paura, perché sentiamo continuamente spari nelle vicinanze, e noi chiusi qui, senza protezione, senza vie di fuga in caso di attacco, rischiamo la vita».

L’appello è stato rilanciato da don Mosè Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, da anni riferimento per i migranti che tentano di arrivare in Europa e rispecchia la situazione di molti centri. «Il nostro lager – prosegue il messaggio – è usato anche come deposito di armi e questo fatto aumenta il rischio che diventiamo probabile obiettivo militare. Sono mesi che non riceviamo nulla per l’igiene personale, siamo costretti a bere acqua salata, i problemi di salute sono all’ordine del giorno.

Circa 40 persone sono malate di Tbc, di cui 10 non hanno mai avuto assistenza e 3 sono in condizioni gravissime. Abbiamo bisogno urgente di controlli medici. Ci sentiamo abbandonati, molti di noi sono caduti in depressione, altri tentano la fuga per prendere la via del mare. Abbiamo avuto casi di tentato suicidio, tra coloro che sono da un anno e più, costretti a spostarsi da un lager ad un altro, senza vedere uno spiraglio per il loro futuro. Poche settimane fa una donna malata che non ha trovato le cure è morta qui, anche una bambina di 3 anni ha perso la vita dopo una caduta per la mancanza di un tempestivo soccorso».

Il messaggio disperato inviato al prete dai profughi africani si conclude così: «Ecco, da ogni punto di vista viviamo in pericolo costante, per non parlare delle privazioni, e il degrado e le condizioni degradanti per la nostra dignità umana in cui siamo costretti a sopravvivere. Chiediamo l’aiuto di tutte le istituzioni europee e delle agenzie umanitarie per mettere in atto un piano straordinario di evacuazione. Sono persone vulnerabili che oggi si trovano nelle condizioni descritte dalle testimonianze che abbiamo raccolto. Ogni tentennamento e rinvio mette in pericolo la vita di centinaia di persone».

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