sabato 4 marzo 2017
Le religiose del monastero benedettino di Santa Margherita hanno comprati impalcature e hanno pregato. Grazie alla solidarietà ricevuta, ora si stanno mettendo in sicurezza gli spazi rimasti inagibiil
Le suore benedettine del monastero di Santa Margherita al lavoro e in preghiera

Le suore benedettine del monastero di Santa Margherita al lavoro e in preghiera

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'Ora et labora...' non solo per rendere gloria al Signore, ma anche per battere il sisma. Siamo nel centro storico di Fabriano, a due passi dalla Cattedrale di San Venanzio, dove sorge il monastero benedettino di Santa Margherita. Un edificio maestoso e antico, ma semplice, spartano, come la comunità che lo abita: 14 monache guidate dalla badessa, madre Lucia. È una storia significativa quella che ci raccontano: lo stabile era stato già danneggiato e riparato vent’anni fa, in occasione dell’altro evento sismico. «Un terremoto – confida don Tonino Lasconi, parroco, giornalista e scrittore – che aveva lasciato profonde ferite, ma che aveva visto una grande reazione della cittadinanza. L’attuale sciame sismico – commenta il sacerdote – è stato una mazzata dalla quale sembra difficile rialzarsi. La gente è davvero stanca».


Se è stanca, però, ci sembra che cerchi di non farlo vedere. E la storia di madre Lucia e delle sue monache ne è un esempio. Il monastero era inagibile. I locali del noviziato, ai piani alti, pazientemente risistemati dopo il terremoto del ’97, hanno visto scaricarsi tutta l’energia delle scosse di agosto e ottobre. Una suora è rimasta chiusa in cella e ha avuto un malore. «Il danno – osserva suor Manuela – è stato soprattutto psicologico. C’è chi, per paura, non ha più salito le scale che portano al noviziato, quella che era una volta la fortezza».

La comunità ha avuto più di un invito a spostarsi, da Assisi a Perugia. E invece no, ha deciso di rimboccarsi le maniche e di restare, perché così volevano le suore, perché così voleva la gente, che si è rivelata determinante. «Abbiamo deciso di comprare le impalcature da sistemare all’interno, essenziali per proteggerci dal pericolo di crolli dei soffitti, che presentavano crepe impressionanti. Ci sono arrivati aiuti da tutta Fabriano e anche da fuori. Abbiamo avvertito una solidarietà che non immaginavamo. E poi la gente che ci ha aiutato a montare i tubi, le tavole, con guida sicura e certificata. Questa esperienza ci ha unite, fortificate. Ora – spiega suor Manuela – possiamo dire di essere serene». Lo sono le sorelle che passano la giornata a pregare ma anche a fare preziosi lavori di cucito, o che prestano servizio in cucina, o per le pulizie.

Un grande esempio per Fabriano:. «La nostra vicenda scompare – commenta don Tonino – davanti alle tragedie più conosciute. Qui, tuttavia, c’è un tessuto da ricostruire completamente. Tanti i danni, ma il danno maggiore resta quello psicologico. La gente sente di non avere più la forza di un tempo, che però è indispensabile per ricominciare un’altra volta. E se molla è davvero finita». «Abbiamo visto, allora – osserva il nuovo vescovo, monsignor Stefano Russo – che la decisione di questa comunità di non abbandonare la città è stata un’iniezione di fiducia e ottimismo. Sarebbe stata la scelta più sicura, anche la più comoda, ma la scelta di restare può dare energia alle famiglie della zona, che stanno ricominciando piano piano a vivere».

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