martedì 19 luglio 2022
Tramonta l’idea di partire dalla Camera, dove i pro-governo 'pesano' di più Poi la scelta di Casellati e Fico Berlusconi a Roma. Salvini riunisce i leghisti: stima di Draghi, ma così è difficile
Si parte dal voto di fiducia in Senato
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Sarà un nuovo voto di fiducia delle Camere a decidere sulla continuazione del governo Draghi: prima in Senato e poi alla Camera. A meno che non sia lo stesso presidente del Consiglio a decidere prima - in assenza di segnali politici convincenti – di tirarsi indietro e confermare le dimissioni. Da questo punto di vista la giornata di ieri non ha offerto prospettive salde. I presidenti della Camere e i capigruppo, non senza polemiche, hanno deciso quale sarà la procedura formale da seguire dopo le comunicazioni attese del presidente del Consiglio al Parlamento.

Ciò che al momento continua a mancare è un’intesa politica nella maggioranza (o di una larga parte di essa, compresa almeno una parte dei gruppi M5s), una cornice che possa portare Draghi a riconsiderare la sua decisione, giovedì scorso, di dimettersi. La decisione di partire dal Senato, dove i parlamentari Cinque stelle sono in larga parte vicini a Giuseppe Conte e critici con il governo, aumenta i rischi di un flop. Non a caso i pontieri della maggioranza, a partire dal Pd, ieri avevano chiesto che il primo atto si consumasse a Montecitorio, dove una parte del gruppo 'grillino' potrebbe essere propenso a votare la fiducia anche a costo di una nuova rottura con la casa madre.

Ma tra levate di scudi e ripensamenti l’operazione non è andata in porto. I capigruppo leghisti Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo sono scesi in campo lanciando strali contro la «farsa» e i «giochini vergognosi» di dem e pentastellati. E poco dopo i presidenti Elisabetta Casellati e Roberto Fico hanno sancito che, in base a una prassi consolidata (il premer riparte dal ramo del Parlamento dove ha ottenuto la prima fiducia o dove si è aperta la crisi: in entrambi i casi Palazzo Madama), il primo esame con la fiducia sarà in Senato. Stabilito l’iter procedurale, a poco più di 24 ore dallo showdown che potrebbe spalancare le porte del voto anticipato, i palazzi della politica non registrano veri passi avanti, solo spiragli.

Il lavoro dei pontieri gira a pieno ritmo, ma i risultati non si vedono, almeno per ora. Le speranze dei 'governisti' so- no appese a una nuova defezione nelle fila pentastellate. Il capogruppo a Montecitorio Davide Crippa non nasconde la contrarietà alla rottura con Draghi. Visto che il M5s ha sempre sottolineato che quello della scorsa settimana non era un no alla fiducia ma al 'dl Aiuti', tanto che alla Camera la fiducia era stata votata, non si capisce perché non dovrebbe votarla di nuovo, è il suo ragionamento. Si vedrà. Ma per definire il quadro sarà decisivo anche l’atteggiamento del centrodestra (finora) di governo. Il voto anticipato è più di una tentazione per Matteo Salvini, che ieri sera ha riunito i gruppi.

Ma il leader della Lega, stretto tra responsabilità di governo (su cui fa leva in particolare la base degli imprenditori del Nord) e la spinta verso le urne che vede in prima fila la sua alleata-rivale Giorgia Meloni, mantiene aperta ogni opzione. Prima di tutto vuole evitare di venire indicato come corresponsabile dell’eventuale caduta di Draghi di cui «ho stima», ribadisce. Ma la premessa è sempre di andare avanti senza più M5s, perché «così è difficile fare qualcosa di utile per gli italiani». Intanto Silvio Berlusconi è rientrato a Roma dalla Sardegna per seguire da vicino l’evolversi della situazione.

«La soluzione è o un governo Draghi senza 5s o il voto», ha ribadito il 'numero due' Antonio Tajani. Lo stesso Silvio viene descritto come 'tentato' dalle urne, ma a cena ha visto Gianni Letta che 'frena'. Il Pd da parte sua tenta sia di mantenere in vita il governo sia di evitare una dissoluzione del M5s, finora alleato nel 'campo largo'. Il segretario Enrico Letta ieri ha ribadito l’importanza di votare la fiducia: «Giovedì la Bce presenterà i nuovi strumenti per aiutarci a combattere lo spread. Ma se il giorno prima in Parlamento non siamo noi a tirarci su da soli sarà più difficile poi chiedere agli altri di salvarci», è il suo appello.

La parola decisiva, è il ragionamento prevalente, è comunque nella mani di Draghi. Considerando che la fiducia al suo governo non è venuta mai meno e che i numeri a sostegno del premier in Parlamento ci sono, si tratterà di una scelta politica. Che il Draghi potrebbe fare prima o dopo avere ascoltato le dichiarazioni in aula dei partiti.

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