mercoledì 20 maggio 2020
Il Senato respinge le due mozioni di centrodestra e +Europa. Dopo l'incontro fra il premier Conte e Boschi, Matteo Renzi ha dato l'annuncio: non voteremo la sfiducia. M5s offre spiragli sulle riforme
Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia

Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia - Ansa

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Alla fine, nonostante le frizioni, sul caso Bonafede la frattura dentro la maggioranza non c'è stata. Tutto si è ricomposto in tarda mattinata con l'annuncio dell'intenzione di Italia Viva, in Senato, di votare contro la sfiducia al Guardasigilli. E così, nel pomeriggio, l'Aula del Senato ha bocciato entrambe le mozioni di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia ed esponente cinquestelle: il documento presentato dal centrodestra ha ricevuto 160 voti contrari, 131 a favore e un astenuto, mentre per la mozione presentata da +Europa i contrari sono stati 158, a fronte di 124 sì e 19 astenuti. «Sono soddisfatto, ora al lavoro», è l'asciutto commento dello stesso Alfonso Bonafede, che afferma di aver «sempre rigettato l'idea di una giustizia divisa tra giustizialismo e garantismo. La stella polare è la Costituzione. L'importante è che la maggioranza abbia trovato una sintesi».

L'annuncio di Renzi: voteremo contro la sfiducia

La tensione e il pathos che hanno tenuto sulla corda maggioranza e governo negli ultimi giorni si sono allentati in tarda mattinata dopo le prime parole dell'intervento in Senato di Matteo Renzi, che ha sciolto immediatamente la riserva, annunciando che Italia Viva non voterà la sfiducia al Guardasigilli Alfonso Bonafede, criticato per la gestione delle carceri durante l'emergenza Covid-19, per la scarcerazione di centinaia di condannati per mafia e per le indiscrezioni sulla mancata nomina del magistrato Nino Di Matteo a capo del Dap: «Se votassimo secondo il metodo che ha usato nei confronti dei membri dei nostri governi, oggi il ministro dovrebbe andare a casa - osserva Renzi, incalzando i cinquestelle -. Ma noi non siamo come voi. Voteremo contro le mozioni di sfiducia, ma riconosciamo al centro destra e alla Bonino di aver posto temi veri. Le vostre mozioni non erano strumentali. Non le voteremo per motivi politici, perché il premier Conte ha detto che si sarebbe dimesso». L'annuncio di Renzi fa tirare un sospiro di sollievo al titolare della Giustizia e ai componenti del governo, ma com'è nel suo stile, il senatore di Rignano non risparmia frecciate anche allo stesso Bonafede: «Certe sue espressioni sul giustizialismo ci hanno fatto male. Lei diceva: se c’è un sospetto anche chi è pulito si dimetta. No signor ministro, bisogna rifiutarla la cultura del sospetto». Renzi afferma di non credere che Bonafede abbia concluso «un qualche accordo» con la mafia, ma lo bacchetta sulle carceri: «C’è stata troppa superificialità sul Dap. Lei faccia il ministro della gustizia e non dei giustizialisti e vedrà che ci avrà al suo fianco». Sul piano politico, da giorni circolano voci su un possibile rimpasto nel governo, ma Renzi non le avalla. Anzi riconosce a Conte che «ci sono stati segnali importanti, come la posizione su Irap, la battaglia di legalità con Bellanova, l’accelerazione delle aperture. Ma c’è ancora molto da fare - pungola -. Non ci interessa un sottosegretario, ma sbloccare i cantieri. Portiamo idee, non visibilità». Alla fine delle dichiarazioni di voto (e della diretta Rai) sono iniziate le le votazioni, con la prima e la seconda "chiama"

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Bonafede: «Leale collaborazione sulle riforme»

Poco prima, nel suo intervento in Senato, il ministro della Giustizia aveva lanciato un chiaro segnale a Italia Viva, su uno dei temi sui quali nei mesi scorsi c'è stata più maretta nel governo, affermando che sulla riforma del processo penale e del Csm «il confronto nella maggioranza sarà costante, approfondito e improntato a leale collaborazione». Al suo fianco, una nutrita rappresentanza del governo: accanto al Guardasigilli s'intravedono Roberto Speranza, Luigi Di Maio, Dario Franceschini, Federico D'Incà, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro e Teresa Bellanova. Nell'intervento, Bonafede difende le proprie riforme, passate e in itinere, sfumando gli attriti con le altre forze politiche: «Sono il ministro di un governo di coalizione. È fondamentale che i cittadini sappiano di poter contare su un processo con tempi certi e ragionevoli. Ci siamo spesso divisi sulla prescrizione. Sarà importante una commissione ministeriale di monitoraggio dei tempi sia del nuovo processo penale e di quello civile». Bonafede afferma di essere un uomo delle istituzioni, respingendo attacchi sulla base di illazioni. E rivendica di essere stato il primo ministro ad avere disposto di verificare tutti i casi di ingiusta detenzione. Sulla contestata scarcerazione dei mafiosi, rigetta le accuse: «È una falsa immagine. In base a quale legge sono usciti dal carcere i detenuti condannati per mafia? Per gli articoli 146-147 del codice penale del 1930, in combinato disposto delle norme del 1975. Norme riconducibili alla mia attività? Io sono al governo da 50 anni? I giudici hanno applicato leggi vigenti da molti decenni». Sulla vicenda relativa al magistrato Nino Di Matteo, Bonafede si difende con forza, spiegando che non ci fu nessun condizionamento: «Non sono più disposto a tollerare alcuna allusione o ridicola illazione», dice, riferendo dei «colloqui informali di due anni fa, che con una certa fatica mi sono trovato a ricostruire» e parlando di una telefonata in cui «Di Matteo mi accennò a reazioni di boss a una sua eventuale nomina. Esternazioni di detenuti ascoltati dalla polizia penitenziaria, già note dal 9 giugno, ben prima della telefonata in questione. Il giorno dopo lo incontrai. Non ci fu nessuna chiusura dopo la prima telefonata, semplicemente mi convinsi che l’opzione migliore sarebbe stata quella di proporgli un ruolo paragonabile a quello che ebbe Giovanni Falcone. Avrebbe lavorato in via Arenula, al mio fianco. Ci lasciammo con quest’idea. Nel tardo pomeriggio ricevetti una telefonata. Di Matteo tornò per comunicarmi che non era più disponibile perché avrebbe preferito il Dap. Appresi con sorpresa la novità e gli comunicai che avevo già inviato la richiesta al Csm per Francesco Basentini». Secondo il ministro, si tratta di fatti che «non hanno niente di eccezionale rispetto a qualsiasi nomina fiduciaria e discrezionale. Non ci furono condizionamenti, non sono più disposto ad accettare illazioni. La mafia che vive di segnali non avrebbe guardato quale ruolo sarebbe stato più in alto nell’organigramma, ma avrebbe visto che Di Matteo lavorava al fianco del ministro della Giustizia».

La maratona del doppio voto in Senato

Il voto in Senato sulle due mozioni di sfiducia (una presentata dal centrodestra, l'altra da Emma Bonino di +Europa) nei confronti del ministro della Giustizia è iniziato alle 9.30. Numeri alla mano, sulla carta il governo era sulle spine: a fronte di una maggioranza assoluta di 161 voti, quelli certi in difesa di Bonafede erano 144, quelli contro 142, coi 17 voti dei senatori di Italia Viva a fare da ago della bilancia. Nelle scorse ore, gli appelli alla responsabilità - espliciti o riservati - si sono succeduti, fino a quello tranchant del capogruppo alla Camera dem Graziano Delrio: se cade Bonafede, cade il governo e si vota. E la mediazione è andata avanti anche mentre il Guardasigilli parlava in Aula, con voci che riferivano di un accordo last minute in maggioranza (non voto di Italia viva alle mozioni di sfiducia in cambio di un peso maggiore, in vista di un cambio delle presidenze di alcune commissioni, finora in quota Lega). «La maggioranza sarà compatta e la mozione sarà respinta», è stato il pronostico del capo politico dei Cinque Stelle, Vito Crimi, all'entrata in Senato. Ma una certa tensione è rimasta, con Emma Bonino all'attacco di Bonafede (definito «il ministro del sospetto, che non giova all'Italia») e col dem Matteo Orfini schietto: «No alla sfiducia, ma la gestione è pessima». Lo stesso Renzi, prima di parlare in Aula, definisce l'intervento come uno «tra i più difficili della mia vita». Mentre la Lega, con Matteo Salvini, fa sapere: «Voteremo anche la mozione Bonino».

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