giovedì 22 aprile 2021
Con una petizione online, la Fism chiede che sia applicata la legge sulla parità scolastica, a 21 anni dalla sua emanazione. Già raccolte quasi 85mila firme in tre giorni
Bambini durante una giornata alla scuola materna. La fotografia è stata scattata prima della emergenza pandemica

Bambini durante una giornata alla scuola materna. La fotografia è stata scattata prima della emergenza pandemica - Boato

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Rendere gratuita la frequenza alle scuole materne paritarie no profit, applicando interamente la legge 62 sulla parità scolastica, che nelle scorse settimane ha compiuto 21 anni, ma non è ancora stata pienamente attuata. È l’appello contenuto nella petizione “Prima i bambini”, lanciata dalla Fism, la Federazione italiana delle scuole materne paritarie di ispirazione cristiana, sulla piattaforma change.org. In appena tre giorni, sono state raccolte online quasi 85mila firme, che hanno collocato la petizione della Fism tra quelle più seguite sul portale internet. La campagna è sostenuta anche dalle singole scuole, che hanno appeso striscioni e cartelloni nelle aule, postando poi le fotografie sui social.

Nel documento, la Federazione - a cui fanno riferimento 9mila realtà, presenti nella metà dei Comuni italiani, di cui 6.700 scuole e 2.300 servizi educativi per la prima infanzia (asili nido e sezioni primavera), per oltre 450mila bambine e bambini e 40mila dipendenti - chiede «a Governo, Parlamento, Regioni, Enti locali un piano di investimenti strutturale e adeguato nella dotazione che, anche nelle applicazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza e di ogni altra dotazione ritenuta necessaria, sostenga il segmento 0-6 anni, in particolare per le scuole dell’infanzia no profit, in ragione del servizio pubblico reso da decenni con standard di alta qualità, a fronte di una disparità nel sostegno economico statale che genera penalizzazioni non più accettabili per le famiglie e il personale».

In sostanza, mentre il costo, a carico dell’erario, di un alunno della scuola materna statale è di circa 6mila euro l’anno, il contributo per le materne paritarie non supera i 500 euro a bambino, circa 2 euro al giorno. Un divario inaccettabile e non più sostenibile dal punto di vista economico, per le scuole. Complice la pandemia, che ha di fatto azzerato le rette per molti mesi, decine di scuole dell’infanzia paritarie sono state costrette a chiudere, soltanto nell’ultimo anno, privando interi territori di un servizio che lo Stato non riesce a garantire dappertutto.

«Senza il sostegno economico delle parrocchie e delle amministrazioni comunali, senza il contributo alla gestione da parte delle famiglie e senza il prezioso volontariato che le caratterizza, molte avrebbero già chiuso i battenti lasciando interi territori privi di un servizio fondamentale qual è la scuola dell’infanzia», si legge in una nota della Fism.

«Il permanere delle differenze nel sostegno pubblico tra la scuola statale e quella paritaria gestita dal Terzo settore vanifica le ragioni stesse della legge 62/2000 e non è più tollerabile – ribadisce la Fism –. Chiediamo solo che si attui il dettato costituzionale e legislativo, affinché siano definitivamente eliminate le disparità di trattamento economico che le famiglie che usufruiscono delle scuole paritarie devono subire. Garantire a ciascuna famiglia parità di trattamento, nella libera scelta di una scuola dell’infanzia paritaria o statale è obiettivo prioritario di questa mobilitazione».

L’auspicio è che Parlamento e istituzioni giungano ad un intervento risolutivo che, anche a vantaggio della ripresa demografica del Paese e nell’ambito delle applicazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sostenga i necessari investimenti nell’intero segmento 0-6 senza più discriminazioni. «Le 9mila realtà educative della Fism – conclude il documento – sono pronte ad essere una leva di investimento di grande valore sociale e sarebbero in grado di raddoppiare la loro offerta di posti, se adeguatamente finanziate, contribuendo a consentire uno sviluppo dei servizi educativi per i bambini fino a tre anni, di cui l’Italia è carente e garantendo il mantenimento del segmento 3-6 anni».

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