sabato 5 novembre 2022
Tarquinio, Spinelli e Sachs alla Scuola di formazione del M5s che ha aderito alla manifestazione nazionale di Roma per la pace
Fiaccolata per la pace a Nonantola (Modena) alla vigilia della marcia per la pace a Roma

Fiaccolata per la pace a Nonantola (Modena) alla vigilia della marcia per la pace a Roma - Fotogramma

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Una riflessione pubblica per una soluzione diplomatica al conflitto in Ucraina, ma anche un dibattito aperto in cui la parola pace torna ad avere diritto di cittadinanza a dispetto della narrazione imperante. A offrire l’occasione è la sesta delle dieci lezioni introduttive della scuola di formazione politica del Movimento 5 stelle, animata ieri a Roma dagli interventi di Barbara Spinelli, dell’economista Jeffrey Sachs e del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.

Molti dei contenuti saranno riproposti oggi dal palco della grande manifestazione pacifista promossa dalla società civile, alla quale, pur «senza bandiere», aderiranno anche i pentastellati. «Auspichiamo una grande partecipazione – ha detto Giuseppe Conte –. Dopo otto mesi di guerra dobbiamo cercare di fare in modo che ci sia un indirizzo per una diversa strategia rispetto all’escalation militare. Quella che invece stiamo perseguendo adesso e che ha come unico risultato la perdita di vite umane, la distruzione delle città e la prospettiva di un conflitto senza fine».

Cercare di far tacere le armi, però, non significa non riconoscere le responsabilità russe. Ma è anche vero, come ricordato da Spinelli, che il conflitto è cominciato «quando per sei anni ha calpestato le aspirazioni di autonomia delle popolazioni russofone e scatenato contro di loro milizie neonaziste, poi inquadrate nell’esercito di Kiev». Senza contare la legge fatta approvare da Poroshenko, predecessore di Zelensky, per limitare l’utilizzo delle lingue a statuto speciale».

Ma quali sarebbero i punti cardine di questa pace possibile? Un’ipotesi è quella offerta da Sachs, per il quale occorre innanzi tutto una dichiarazione pubblica degli Usa che certifichi l’intenzione di non allargare la Nato. Poi la capacità di capire che la Crimea non vale un conflitto nucleare e infine il rispetto degli accordi di Minsk e un negoziato sul Donbass. Certo «non c’è garanzia che questo funzioni – dice ancora l’economista – ma dobbiamo provare e credo che invece al momento abbiamo paura di provare».

«Questa guerra la stiamo combattendo fino all’ultimo ucraino – è stata la considerazione di Tarquinio –. La speranza è che non diventi una guerra fino all’ultimo europeo dentro una partita per la sistemazione del mondo entro un ordine mondiale in cui non c’è più spazio per un sistema monopolare. La realtà è che noi europei stiamo dicendo al mondo che siamo complici o quantomeno imbelli rispetto alla trincea che si sta scavando, separando i due polmoni dell’Europa, come li chiamava Giovanni Paolo II.

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