giovedì 9 luglio 2020
Tre miliardi di progetti per ridefinire il servizio sanitario all'epoca post-covid. Priorità sul turnover dei dottori. Cicchetti (Cattolica): è l’ora degli investimenti
Sanità: medici, risonanze e posti letto. Così saranno utilizzati i fondi
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Tra i tanti danni che il Covid 19 ha fatto al Servizio sanitario nazionale un aspetto positivo è che dovrebbe essere stata acquisita una consapevolezza: occorre invertire la rotta. Sia nella valutazione delle priorità a cui dedicare attenzione, sia nello stanziamento di risorse, necessarie in molteplici aree del nostro sistema di cure. Ne è convinto Americo Cicchetti, direttore dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che sui 3 miliardi reperiti dal ministero della Salute nell’ambito del Decreto Rilancio, osserva: «Rappresentano un punto di partenza per riportare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale in linea con quello degli altri Paesi europei, ma che non è sufficiente per un piano di rilancio, che è invece necessario alla luce degli insegnamenti che stiamo traendo dall’esperienza Covid-19».

Mentre per i possibili fondi (si parla di 36 miliardi) che potrebbero arrivare dal Mes, evidenzia che «sono fondi da dedicare non alla spesa sanitaria, ma agli investimenti che devono avere un ritorno in termini di salute ma anche di crescita economica, perché i fondi sono a prestito e dovranno essere rimborsati con interessi ancorché bassi». Un dato è certo: la nostra debolezza è stata messa a nudo dalla pandemia. Una debolezza che è stata sia di tipo strutturale (risorse), sia di tipo strategico (prevenzione), due ambiti in cui si dovrà ora correre ai ripari. «Le cifre – puntualizza Cicchetti – parlano chiaro. Dopo i piani di rientro dal debito sanitario cui molte regioni del Centrosud sono state obbligate negli anni tra il 2007 e il 2017, la spesa sanitaria pubblica in Italia è stata sotto- finanziata per circa 10 anni. Fatta 100 la spesa del 2010, il nostro Paese era a 100,4 nel 2017, mentre alla stessa data la Francia era giunta a 127,6, la Germania era a 132 e il Regno Unito a 139,1. Il che significa che sono mancate risorse per garantire il turnover del personale che andava in pensione, o per aggiornare il 'parco macchine', cioè acquistare gli strumenti che lo sviluppo tecnologico mette a disposizione, quali le Tac e le risonanze magnetiche più avanzate ». In termini numerici, apparsi con drammatica evidenza durante l’infuriare del contagio tra febbraio e aprile, significa che mentre in Italia si riducevano i posti letto o le terapie intensive, c’era chi li aumentava: «La Germania, prima del Covid-19, aveva il doppio dei nostri posti letto ospedalieri e 28mila posti in terapia intensiva, contro i nostri 5mila. E ha solo 20 milioni di abitanti più dell’Italia».

Questo significa appunto che è necessaria un’inversione di rotta, anche nell’organizzare l’assistenza, come dimostra il fatto che «il nostro piano pandemico non era stato più aggiornato dal 2006», aggiunge Cicchetti, o che «il Centro controllo ma-lattie (Ccm), istituito dal ministro Sirchia dopo la Sars, da anni non rice- ve fondi adeguati per perseguire la sua attività». Ma dove sarà necessario investire maggiormente per migliorare efficacia ed efficienza del Servizio sanitario che, come abbiamo visto in questa pandemia, non può essere considerato una spesa, ma un investimento per la salute di tutti i cittadini? «Se è vero, come dice l’Organizzazione mondiale della sanità – ricorda Cicchetti – che 'la salute è in tutte le politiche', anche i finanziamenti possono riguardare gli ambiti utili per produrre salute. In particolare le risorse vanno impiegate per attività in grado di generare 'valore' da un punto di vista individuale, tecnico, sociale, economico in un periodo lungo: l’opposto della spending review ». Occorre quindi investire «in quei settori che hanno notoriamente un effetto 'moltiplicatore' per il ciclo economico, per esempio l’edilizia sanitaria. Ricordando che bisogna affrontare le criticità che il Ser- vizio sanitario manifestava già in e- poca pre-Covid: le differenze di uguaglianza tra i cittadini delle diverse Regioni e tra le classi socio-economiche. Inoltre deve essere migliorata la capacità di fare programmazione, sia a livello nazionale sia a livello regionale».

L’edilizia sanitaria deve avere un’attenzione «allo sviluppo di infrastrutture non solo ospedaliere ma anche territoriali, domiciliari e logistiche. Anche la farmacia dei servizi, già prevista da una legge, può essere un presidio di prossimità del Servizio sanitario». Per quel che riguarda l’edilizia sanitaria abitativa, «è necessario superare la logica delle Rsa, una questione che ha un grande impatto sociale, visto l’invecchiamento della popolazione, ma i nuovi modelli devono integrare assistenza sociale e sanitaria con la possibilità di un invecchiamento attivo». Altro settore cruciale è quello delle tecnologie sanitarie: «Grandi macchine, dispositivi medici, terapie avanzate e vaccini, sono aree che, generando salute, possono ridurre le spese del Servizio sanitario. Non dimentichiamo che la prima grande emergenza di questi mesi sarà recuperare l’arretrato di controlli e terapie rimandati per il Covid- 19, perché le altre malattie non sono scomparse.


Reduci da un decennio di tagli, sarebbe utile ripartire ad esempio dal piano pandemico, mai più aggiornato dal 2006. E dagli spazi in rianimazione, in cronico ritardo

E la diagnostica gioca un ruolo cruciale per ridurre i rischi di salute dei cittadini: occorrerà pensare a incrementare gli orari di funzionamento degli ambulatori, e se il Mes non è utilizzabile per assunzioni di personale, possono essere finanziati aggiornamento professionale e formazione specialistica, così come percorsi di digitalizzazione dei processi assistenziali». La prova-Covid ha evidenziato le crepe del nostro sistema sanitario. «Occorre apprendere la lezione e porvi rimedio» conclude Cicchetti.

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